Quantcast
Channel: FANY - BLOG
Viewing all 1770 articles
Browse latest View live

"Marino stai sereno!"

$
0
0

Ultima ora:

 Ignazio Marino ha formalizzato le dimissioni da sindaco di Roma, consegnandole al presidente dell’assemblea capitolina Valeria Baglio. Da domani scattano i 20 giorni previsti dalla legge passati i quali le dimissioni saranno esecutive ed irrevocabili. Il 2 novembre dunque Marino decadrà dal incarico e si aprirà la fase del commissariamento e per le nuove elezioni.


Ripercorro gli ultimi mesi con le vignette di Gianfranco Uber







mercoledì 17 giugno 2015
TANTO TUONO'...
Certo che uno "stai sereno" dall'ex responsabile della Protezione Civile, Franco Gabrielli, dovrebbe tranquilllizzare Marino.
O no?

giovedì 27 agosto 2015
CAFFE' SALATO
Dopo lo scandalo di Mafia Capitale il CDM decide in pratica il commissariamento del Comune di Roma. Marino non era presente alla riunione. Ufficialmente perchè ancora in ferie ai Caraibi, probabilmente perchè subodorava l'impallinamento.
Questo comunque, indipendentemente dal metodo "staisereno" e dai meriti del Sindaco resta un gesto profondamente offensivo nei riguardi dei cittadini romani e degli elettori in genere.
Per curiosità a Genova(*) quando il caffè aveva un brutto gusto si diceva che sapeva di marino.

(*) Nel porto, più importante in Europa per l'importazione del caffè, poteva capitare che durante lo sbarco qualche sacco si bagnasse di acqua salata

venerdì 9 ottobre 2015
IL COCCODRILLO CAPITOLINO
Non ho mai avuto un particolare entusiasmo per la discesa in politica di Marino ma e' molto probabile che i meno entuisiasti fossero i titolari degli sporchi affari consumati dietro il paravento di Roma Capitale.
Adesso molti sembrano rimpiangerlo gia' ma sara' solo un attimo, in attesa di un vecchio volpone o di un nuovo marziano da spernacchiare, come quello di Flaiano, il piu' in fretta possibile.
(e i gemelli? direte voi. Se li sara' mangiati!)



LA SCOSSA
Oggi Marino darà le dimissioni. Il suo vizietto, molto probabilmente vero e cronico, anche se fosse solo limitato alla pochezza degli scontrini falsi rapportati alle ruberie romane, doveva suggerirgli di darle prima. Senza aspettare l'aiutino della Chiesa.
(a proposito non era stata abolita la pena di morte dal Vaticano?)





*********




#paroleorrende

$
0
0
La raccolta di #paroleorrende  sui social impegna tantissime persone nella denuncia della deturpazione della lingua italiana.
Bello l'articolo che spiega il fenomeno di Daniela Ranieri per il FQ,  illustrato magnificamente da Marilena Nardi.


Lingua italiana sotto attacco: tutto iniziò con “l’attimino”. Il boom delle parole orribili (da eliminare). Scrivici le tue
Oggi la raccolta di #paroleorrende (l’hashtag sta a significare che la cura non può che essere omeopatica) impegna su Facebook molte persone, che - in una specie di trance agonistica - propongono ciascuna le proprie parole-tabù, le bestie nere, le espressioni-orticaria. Diamo un contributo

di Daniela Ranieri
• Da obbrobri come “un attimino” a locuzioni improbabili del tipo “piuttosto che” usato come congiunzione: la lingua italiana, con le sue regole e la sua sintassi, è sotto l’attacco delle espressioni orribili. Sul Fatto Quotidiano continua la pubblicazione delle liste di proscrizione delle firme del nostro giornale. Qui, nei commenti sotto l’articolo, potete inserire le storpiature che più vi hanno colpito voi. Per una battaglia civile per combattere l’antilingua.

In principio era “un attimino”. Inesorabilmente, come un virus, si diffuse a tutti i piani della società, ci inseguiva in banca, in palestra, in ufficio, a casa, nessuno ne era immune, dal prete allo psichiatra, dalla casalinga al parrucchiere. Poi avanzò violento il “piuttosto che” usato non in senso comparativo o avversativo, ma come congiunzione. “Andrei in Giappone, piuttosto che in Cina, piuttosto che a Cuba…”, dicevano i pierre di moda da Milano a Cefalù, i medici estetici, gli avvocati di Prati, le shampiste della Magliana: piacendosi molto. E intorno tutto un florilegio di “gentilmente”, “una firmetta qui”, “naturale o leggermente”… Che fastidio! La lingua italiana, con le sue regole e la sua sintassi, era sotto attacco.

La comunità web delle #paroleorrende
Ne parlai con Vincenzo Ostuni, editor di Ponte alle Grazie, che convenne: ormai non potevamo più ignorare il crimine, l’attacco efferato, l’invasione di certi obbrobri che ci salivano automaticamente alla bocca, che si impossessavano delle nostre dita. Avremmo dovuto allestire una lista nera, perché, come disse Ostuni in una sorta di manifesto di lotta contro le parole orrende, “la lingua tutta è un campo minato”. Oggi la raccolta di #paroleorrende (l’hashtag sta a significare che la cura non può che essere omeopatica) impegna su Facebook molte persone, che – in una specie di trance agonistica – propongono ciascuna le proprie parole-tabù, le bestie nere, le espressioni-orticaria. Nessuno snobismo, nessuno spirito conservatore: oggi che il Papa parla la lingua del popolo e il latino lo parla solo Claudio Lotito, nessuno vuol tornare all’italiano di Machiavelli. La lingua è un’entità plastica, vulcanica, e l’uso che ne fa la nostra psiche, avvinghiata agli algoritmi della rete, la rimodula incessantemente. Ormai nessun ostacolo può fermare “la pirlolingua degli informatofoni” (Guido Ceronetti). E infatti controllate nelle vostre mail, quelle di lavoro, degli uffici stampa delle case editrici o dei nostri politici. Non ce n’è una in cui non compaia qualche orribile lemma, un trito stilema, un insopportabile tic verbale. Ci sarà un timing, una dead line, una tabella di marcia, un customizzare, un ottimizzare, un funzionare (nel senso di convincere), un top, un performante, un endorsare, un quant’altro.

Nella poltiglia restasoltanto il “Googlish”
Fonemi vuoti, gassosi, che non vogliono dire niente e non hanno un vero e caldo rapporto con la nostra vita, ma evocano tutto un mondo di cultura progredita, sofisticherie aziendali, meeting motivazionali, affettazioni al passo coi tempi. Parole-chiave, hashtag, rapidi input brucia-sinapsi, inglesismi usati per lo più impropriamente (e spesso da chi non sa l’inglese), voci in Googlish, quella lingua diffusa dai motori di ricerca che uniforma i lessici nazionali in una poltiglia globalizzata. Tic linguistici che usiamo per impreziosire il discorso e mostrarci parlanti evoluti, dopo la vittoria dell’antilingua di cui parlava Italo Calvino su Il Giorno nel 1965, quell’italiano paludato che impone di dire “ho effettuato” invece di “ho fatto”, col risultato comico di trovare scritto nei bar: “Non si effettuano panini”.

Oggi è tutto rapido e veloce, la contrazione delle parole è frenetica; negli spasmi del multitasking, non c’è tempo di scegliere. La palude è bassa. Se già nel ‘78 Alberto Arbasino registrava le fissazioni giornalistiche “dello scendere in lizza e dello spezzare una lancia, del lavorare ai fianchi e del battere in ritirata, della levata di scudi, delle frecce all’arco, del sentiero di guerra, della caccia alle streghe, della camicia di forza”, oggi il “giornalismo esploso” dei social diffonde i suoi cliché spompati di “paese reale” e “società civile”, i suoi automatismi dei “gusti del pubblico” e dei “due marò”, i suoi barbarismi da Jobs Act a start-up.

L’antilingua del potere
E non parliamo dei post-politici. Il basic italian da 140 caratteri di Renzi costringe alla ripetizione anche i più avvertiti, con i suoi “la volta buona” e “l’Italia riparte”, “andare a vedere le carte” e “non gettare la palla in tribuna”, “il risultato lo portiamo a casa” e “non cadiamo nel derby ideologico”. Tutta una scialba metafora a condire il vuoto di contenuti; già che un conto è trasformare, usare, muovere la lingua, un conto è fossilizzarla nell’antilingua, assistendo senza resistere all’esaltazione corale del nulla lessicologico. Perché, sempre Calvino: “La motivazione psicologica dell’antilingua è la mancanza d’un vero rapporto con la vita, ossia in fondo l’odio per se stessi”.

da Il Fatto Quotidiano di giovedì 8 ottobre


------------------------------------------------------------------------------

I miei amici su FB
Pablito Morelli E poi: "Assolutamente sì", "assolutamente no", "settimana prossima", eccetera. Povera lingua bistrattata.


Anna Laura Folena ...e quantaltro! (scritto tutto attaccato)


Umberto Folena "NARRAZIONE"...

Michelangelo Lucco ·
E di "piuttosto che" al posto di "o" non ne vogliamo parlare?

Buduàr 29

$
0
0


© dell'autore

L'Estate sta finendo. Buduàr 29!

COPERTINA DI NADIA KHIARI

Dopo l'ubriacatura delle 150 pagine nel mese scorso si torna alla normalità. "Solo" 116 pagine, ma di contenuti di assoluto primordine.

Qualche debutto e qualche riscoperta, come lo Scalarini del Corriere dei Piccoli, gioiellino concesso dalla famiglia del grande autore.
Tanta roba da leggere mentre ci godiamo il graduale rinfrescarsi dell'aria.
L'estate sta finendo...

Il giornale è sfogliabile usando gli appositi tasti di navigazione in basso a destra di ogni pagina.
E' anche possibile sfogliare clikkando col mouse o usando il dito (su palmari e smartphone) e trascinando la pagina a destra, sinistra o in basso.

Nota:





La disobbedienza a fumetti di Nadia Khiari

“Quando nessuno obbedisce nessuno comanda”, scandisce il rivoluzionario gatto Willis, creatura della vignettista tunisina Nadia Khiari. Willis e i suoi compagni felini hanno virtualmente partecipato alle manifestazioni del 2011 che hanno portato alla caduta del dittatore Ben Ali, dando il via alle primavere arabe. Con i loro slogan che chiedevano libertà, democrazia e lavoro, i personaggi disegnati da Khiari sono subito diventati molto popolari.

“Le vignette e la satira politica sono vitali per la salute di una democrazia: poter parlare e prendersi gioco di tutto è importante. Disegnare è un modo per far ridere ma anche per guardare le cose facendo un passo indietro, adottare una prospettiva diversa e più riflessiva”, spiega Khiari a Cartoon movement, un sito che riunisce disegnatori di tutto il mondo.

Il carattere indipendente del gatto Willis somiglia a quello di tanti giovani che hanno partecipato alla rivoluzione tunisina senza schierarsi con un partito, ma decisi a ottenere la democrazia. Che farà oggi il gatto? “La rivoluzione continua, ogni giorno. La frase che dico sempre è: ‘La rivoluzione è bella ma è lunga’”.
fonte Internazionale

Le Baxar de la Paix
Willis from Tunis



Nadia Khiari e la rivoluzione a fumetti - LaPresse




Facce da Prima Repubblica e dintorni

$
0
0
Pubblico dei bozzetti di politici della Prima Repubblica fatti da Ugo Sajini  quando collaborava a diversi quotidiani, e lo facevano lavorare sulle caricature. Ugo, famoso disegnatore umorista e satirico, nei giorni scorsi molto gentilmente li ha condivisi sulla sua pagina Fb, per farmi capire come e quanto si doveva lavorare per evidenziare i tratti salienti dei vari personaggi, cosa che purtroppo si è un po' persa ultimamente.
Erano gli anni 80/90 quelli della Prima Repubblica...


Facce da Prima Repubblica - De Mita 24 giugno 1983





Bettino Craxi firmava con lo pseudonimo "Ghino di Tacco" i suoi articoli e i suoi editoriali di analisi politica pubblicati dal giornale l'Avanti!, organo del Partito Socialista Italiano (PSI) ed arrivò a scriverne una biografia. Lo pseudonimo venne preso come risposta adottando l'epiteto con il quale il direttore de La Repubblica Eugenio Scalfari aveva spregiativamente accostato la sua «rendita di posizione», nel quadro politico italiano, a quella del celebre bandito medievale che, dalla rocca di Radicofani, calava sui viandanti della via Francigena, allora unica via di comunicazione tra Firenze e Roma.





Facce da Prima Repubblica - Sandro Pertini -
Campionato del Mondo di Calcio 1982





Facce da Prima Repubblica - schizzo preparatorio



Gianni De Michelis legge Olindo Guerrini



Facce da Prima Repubblica ... e dintorni
Wojciech Jaruzelski e  Solidarność
Ex Presidente della Polonia







Facce da Prima Repubblica...e dintorni -
Leonid Breznev
Interesse per il Mediterraneo . 198..?




Facce da Prima Repubblica - Nilde Jotti 199.?



Facce da Prima Repubblica - Pietro Longo 19..?



Facce da Prima Repubblica - Giulio Andreotti 19..?



Facce da Prima Repubblica - Ciriaco De Mita 199.?
-



Pietro Longo segretario del PSDI
Piduista DOC, nell'elenco degli iscritti alla P2 in ordine alfabetico dopo Longo veniva Manca socialista ex Pres Rai.




Scrive di Ugo Sajini Dino Aloi in Buduàr n°6 pag.47

Ugo per tutti, tutti per Ugo

Ugo Sajini normalmente è abituato a realizzare vignette senza parole. E' il mezzo che preferisce per comunicare anche per il fatto che, in questo modo, i disegni diventano immediatamente esprtabili anche all'estero, dove possono essere compresi con grande facilità.
continua  


Note Biografiche di Ugo Sajini:
Nasce il 17 ottobre del 1947. Nel 1960 già disegna umorismo. Dal 1970 collabora con numerose testate, dalla rivista di fumetto Eureka all'edizione italiana di Playboy e al quotidiano Popolo di Roma.
Viene premiato in numerose rassegne in Italia e all'estero, da Montreal a Marostica e a Lecce.
Vive tra Vigevano, nella bella Lomellina, e lo spezzino, nelle belle 5 terre dove dice di far finta di coltivare la vite.

Ciao Gianni Burato

$
0
0

La moglie Iaia ha annunciato la gravissima dipartita del marito Gianni.
Se ne è andato  in silenzio, senza scalpore e senza preavviso. Era malato da tempo, ma non ha mai voluto che si venisse a sapere. Diceva che non avrebbe sopportato sguardi pietosi e mutamento di atteggiamenti nei suoi confronti.
 Era schivo, di poche parole, eravamo amici di FB. Mi disse, quando abbiamo fatto amicizia:
 "gran bel hobby! ciao!"
e da allora mi faceva partecipe di capolavori.
Mancherà a tutti noi e tantissimo alla sua famiglia a cui mi stringo forte.
In questo post ho raccolto i suoi angeli e i disegni del salto , del volo, del passaggio...
...che la terra ti sia lieve caro amico.



Il talento di disegnatore di Gianni Burato è talmente lampante da convincerti già dalla prima occhiata. Se poi li osservi più a lungo, i suoi disegni rivelano un'altra diabolica qualità : la capacità di osservazione, di individuare una quantità sbalorditiva di dettagli che solo lui è in grado di registrare e che anche tu ti ricordi di avere visto, ma solo dopo che lui te li ha spiattellati davanti. Ma tra le capacità straordinarie di Gianni ce n'è una particolarmente ammirevole: la cura che mette in qualsiasi cosa faccia. Ho collaborato con lui a un giornalino satirico piuttosto irregolare, Verona Infedele. Ovviamente il giornalino veniva chiuso sempre e comunque all'ultimo momento, la notte prima di consegnarlo in tipografia, anche per sfruttare tutto il tempo utile ad inserire eventuali avvenimenti recentissimi che meritassero un commento. Nel cuore della notte, il nostro impareggiabile direttore Cesare Furnari pronunciava ogni volta, convinto che fosse la prima, la frase che a noi disegnatori faceva tremare i garretti: "Bene, il giornale è fatto. Mancano solo i disegni". Per un giornalino composto al novanta per cento da disegni, quell'avverbio "solo" poteva suonare magari ironico, o minaccioso, o preoccupato. Invece no. Cesare lo pronunciava senza la minima intenzione, neppure vagamente di rimprovero, ma con il sollievo di avere terminato la sua parte, lui era scrittore, e con la serena fiducia che noi disegnatori avremmo terminato la nostra entro la nottata. Fiducia quasi mai giustificata. La fretta, la stanchezza, il sonno, il fumo, il vino (soprattutto il vino) gradualmente, col passare delle ore, inducevano noi disegnatori ad abbassare sempre di più la soglia della decenza grafica, azzerando ogni barlume autocritico. Tutti noi, tranne Gianni Burato. Lui continuava col suo passo regolare macinando disegni su disegni, sempre con la stessa cura, la stessa perfezione, la stessa ricchezza di dettagli, la stessa freschezza. Non era solo (e lo era) sacrosanto rispetto per i lettori, tanto meno era sfoggio di un virtuosismo sovrumano (non è il tipo) . Era semplicemente la spontanea inderogabile necessità di fare bene il proprio lavoro. Potrei dire addirittura il piacere di fare bene il proprio lavoro. Anche quando, sfiniti, abbrutiti, praticamente morti, davamo gli ultimi ritocchi al carro di carnevale di Verona Infedele, carro già rimarchevole per la cazzuta ferocia, mentre era ormai partita la sfilata per le vie della città, Gianni aggiungeva quei nuovi letali dettagli, quei contundenti particolari che rendevano il carro definitivamente indigeribile per i bersagli della satira. E anche qui per lo stesso motivo: fare bene il proprio lavoro. C'è chi pensa che se ognuno facesse bene il proprio lavoro il mondo farebbe un gran balzo in avanti. Probabilmente è vero. Il problema è che non tutti abbiamo il talento e la coscienza di Gianni Burato.
Milo Manara



Gianni Burato: un cane sciolto in mezzo ai burattini aggrappati ai fili, che esercita quell'elementare diritto all'irrisione con armi desuete. Innanzitutto sa disegnare, e già questo è un handicap, e, ancora più grave, sa pensare. Basterebbe la sua antesignana serie prima dell'avvento dell'euro (esposta proprio a Forte dei Marmi) con la vignetta che mostrava la nuova sciagurata moneta nella quale campeggiava "l'artefice" di tale bella trovata intento a martellarsi gli attributi, per farne un classico. Formatosi nella fucina di Verona Infedele, diretta dal mai abbastanza compianto Cesare Furnari, con a fianco Milo Manara, l'ottima sua sorella Nives, Luca Garonzi e altri talenti, Burato ha fatto tesoro di tale esperienza, periferica e vernacola quanto si vuole, ma proprio per questo unica e nodale. Qui ha compreso che il vignettista deve essere una sorta di terrorista e le sue tavole bombe che scoppiano, facendo saltare conformismi e opportunismi, corruzioni e malcostume.
Fabio Norcini



Gli amici:


 La notizia fulminea ha attraversato la rete, gli amici dichiarano stupore e dolore: Gianni Burato non è più qui.

La prima volta che ci siamo incontrati abbiamo condiviso un piatto di pasta e ceci e mi sorprese il suo voler sapere come era stata fatta, da dove venivano gli ingredienti. Normalmente se uno gradisce mangia volentieri e raramente approfondisce più di tanto; lui no, era curioso, dedicava attenzione sincera a quello che gli altri facevano.
Poi ci siamo rivisti in altre occasioni: performances poetiche, un dibattito dopo la tragedia di Parigi, un incontro con gli studenti, la presentazione di un libro. C’era stima reciproca e avevamo più di una visione in comune ed ero sicuro che prima o poi si sarebbe presentata l’occasione per scambiarsi, magari con in mezzo una bottiglia, pensieri e idee sulla satira e sull’ironia. Non è andata così, le cose bisogna farle quando ti vengono in mente: la vita (anzi la morte) arriva all’improvviso e non ti lascia niente in mano.
Non voglio ricordare Gianni illustratore e disegnatore di satira (altri lo faranno meglio di me), ho voluto solo rimpiangere una persona che ammiravo e avrei voluto conoscere più a fondo.
Cerco di farlo con questo schizzo veloce; rinuncio alla mia sigla e firmo col suo stile, riconoscendo in lui un maestro.

Ciao Gianni, che l’ultimo sentiero ti porti incontro al sole.

Gianni Falcone



ADDIO A GIANNI BURATO.
Oggi se ne è andato un grande della Satira, che ho conosciuto e visto 3/4 volte. L'ultima a Verona a una conferenza su Charlie Hebdò in cui strabiliò tutta la platea con il disegno improvvisato di Maometto con un pisello gigante scrivendo "UL-ALLAH".
Personaggio schivo e disallineato ma di una dolcezza d'animo infinita... Emoticon frown Emoticon cry
Riposa in Pace, Gianni...
Pietro Vanessi



Ciao Gianni
Paolo Lombardi




-------------------------------------------------------------------------------------------------------



Gianni Burato
 Nasce a Verona 16/8/56  dove vive, lavora e ci lascia il 17/10/15
Artista  eclettico con una disposizione naturale per il disegno che sviluppa con  grande creativita' utilizzando tutte le tecniche.Grande talento e una  sensibilita' non comune lo portano a creare illustrazioni raffinate per  le maggiori testate, come le celebri copertine per il "Venerdi"(La  Repubblica) e la collaborazione con "Cuore".
E' tra i fondatori con Milo Manara del giornale satirico "Verona Infedele".
Nel 1995 vince,nella sezione multimediale
il  1° Premio Internazionale di Satira Politica di Forte dei Marmi  disegnando il CD interattivo "MegalomaNet",riconosciuto anche dalla  Apple Italia. E sucessivamente nel 1998 giunge il riconoscimento con il  piu' ambito premio "Pino Zac" sempre al Premio Satira Internazionale di  Forte dei Marmi, per le illustazioni dedicate all'Euro.
La satira non esaurisce la sua vena creativa.
lavora  per le piu' importanti Agenzie di pubblicita'. Crea splendide  illustrazioni per la Ferrero, il Gruppo Volkswagen,Chevrolet
Ferrari Spumanti, Aeroporto Catullo, Telecom, Unicredit e alcune fra le maggiori case vinicole Italiane.
Suo il Marchio del famoso Festival internazionale dei Giochi di strada "Tocati'"
Attualmente collabora con il "Fatto Quotidiano", con gli architetti designers Mendini e per Clear Channel Communications.
Ha illustrato svariati libri per le piu note case editrici.
Il suo segno e' ormai inconfondibile:preciso,espressivo,ricco di particolari, suggestivo.
Tutte le tecniche gli appartengono e sono esplorate con curiosita' e desiderio di scoperta
Le sue opere sono state esposte in Italia e all'estero
fonte:  Gianni Burato  - Museo della Satira

Legge di stabilità e appannaggi presidenziali

$
0
0
Mario Airaghi



Appannaggi e appannatoi per spending ovation

di Nadia Redoglia
Oltre mezzo milione di euro annuale è appannaggio (chissà poi perché) riservato alle segreterie personali degli ex presidenti della repubblica italiana (di diritto senatori a vita). Grazie alla riforma costituzionale in atto chiamata Boschi e (bontà sua riconoscente) Napolitano ( nell’ art. 40 C.5 ddl 1429) nulla è modificato e così gli ex presidenti, in carica garanti dello Stato e della Costituzione (mica sovrani), proseguiranno a essere “…regolati secondo le disposizioni già vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge…” ovvero saranno regolati con quella stessa somma oltre a benefit vari, a esclusiva garanzia di se stessi, però in carica.

500 e rotti mila euro sono l’equivalente di 1000 e rotti euro mensili per 500 mesi (40 anni circa) di pensione media di un italiano che per ottenerli dovrebbe doppiare la boa dei cent’anni, ben distante però dalla vita media. Perciò con quella somma lo stato retribuisce assai più di un pensionato per non parlare di quelli che percepiscono solo la metà (meno è incompatibile con la vita).
I signori ex presidenti della repubblica invece li ottengono una volta l’anno per ogni anno che sopravvivono alla dismissione del loro mandato.

Questa è la revisione della spesa pubblica (spending review per i più fichi) agganciata a quella legge di stabilità che lo Renzi il munifico proclama: “Si scrive legge di stabilità ma si pronuncia legge di fiducia per un Paese più semplice e più giusto”?!
Difficile a credersi a meno di non spostare provvisoriamente le pezze dalle chiappe alle palpebre.

17 ottobre 2015



Mannelli


Ellekappa



LA QUIETE
Io non ho mai capito la necessita' e l'urgenza delle modifiche costituzionali. Adesso comunque non resta che aspettarne gli effetti e confidare nella promessa del Referendum confermativo sperando che una convinta maggioranza di italiani lo approvi o lo cancelli.
UBER

Funerale laico per Burato

$
0
0



Senza parole per il necrologio,
a lui proprio non piacevano.
Lo Saluteremo insieme e a modo suo,
Mercoledi' 21 Ottobre dalle 15 alle 17 presso la "Sala del commiato" del cimitero monumentale di Verona.
Non fiori ma da bere
Iaia Anita e Alessandro ringraziano tutti per l'affetto...

"Nello stile di Gianni", dice Iaia, "naturalmente, lo saluteremo anche con dei sorrisi e, perchè no, anche con un buon bicchiere di vino!"



ANOTHER TIME, ANOTHER PLACE
Gianni Burato, 59 anni da poco compiuti, disegnatore satirico, art pubblicitario e molto altro si ritrovò in quell’ottobre del duemilaquindici – un po’ spaesato a dire il vero – dinnanzi ad una Grande Porta.
Quando la oltrepassò fu subito investito da un ondata di applausi e di saluti , in decine di lingue diverse.
Il primo che riconobbe, però, fu Lino Simeoni che con il solito sorriso beffardo lo apostrofò “Eccolo, sempre in ritardo! Ma lo sai che son più di dieci anni che aspetto?”
Burato, un po’ perplesso ma felice di rivedere il vecchio amico sorrise.“ehh che pressia! proprio ti te me parli de puntualità!” disse abbracciando Lino.
“Vieni che ti presento gli altri” proseguì il Simeoni “quelli che sono già arrivati, almeno…”
Solo allora Gianni si rese conto di chi lo stava applaudendo e salutando con calore. Riconobbe immediatamente Crepax, Tamburini, Bonvi, Pratt, Wolinski… e poi tutti gli altri, disegnatori satirici, scrittori, vignettisti, advertiser, illustratori di ogni stile e di ogni tempo. In mezzo all’immenso gruppo notò anche Gustavo Dorè!

Lino, rendendosi conto, della titubanza dell’amico gli indicò, per tagliare l’aria, un omino magro e infagottato che indossava, a corredo del suo buffo dishabillé, un paio di sandali francescani, rigorosamente sopra i calzini corti. “E questo lo conosci?” gli disse indicandoli Cesare Furnari.
Cesare – come sempre con l’aria da intellettuale sovietico decaduto, dopo la caduta del muro – abbraccò sorridente Gianni.

“Porca putana! ma si tuti qua!” escamo il Burato” Ma cosa fate tutto il giorno? ghelo mia un goto de Ripasso? e na cicca magari?”
“Certo che c’è mon amì” disse Wolinski, tendendogli un pacchetto di Marlboro “per il vino, però, Vi porto io a bere un bicchiere di Bourgogne, altro che il vostro ridicolo Ripasso!”
Lino, Gianni e Cesare lo fulminarono con lo sguardo… la folla di artisti si azzitti improvvisamente… Wolinski, impettito, si aggiustò gli occhiali, li guardò con fare arcigno e poi scoppiò in una fragorosa risata. Era il Mondo Felice, come potevano litigare?

Con un’agilità che non ricordava da tempo, abbracciato ai compagni, si diresse assieme ad un folto gruppo di artisti verso l’insegna di un’osteria che non prometteva niente male.
Il sole splendeva, il clima era mite e Gianni iniziò a fischiettare come fanno i ragazzi di ven’anni quando sono felici.
Stefano Russo









EXBOH Satira e vignette su EXPO & dintorni

$
0
0
Non tutte le ciambelle riescono col buco
la mostra non è andata in porto
ma cari amici del blog non fate che tutto questo lavoro cada nel nulla
sfogliate il catalogo online e condividete





Da Expo a Exboh: 35 matite per nutrire lo spirito
Di Gianni Falcone On 18/10/2015

Ci eravamo messi in 35 per realizzare una mostra di satira sull’Expo, ma non se ne fa niente.

Per motivi tecnici, organizzativi, sponsor ritirati, riunioni rimandate, persone prima disponibili ma che poi si sono rese irreperibili e altro ancora, la mostra che era programmata per giugno è stata ripetutamente rimandata, talmente tanto che alla fine è diventato tardi… per tutto!
Infatti l’Expo sta per chiudere e la mostra è expirata prima ancora di vedere la luce.
Ma non tutto è perduto: Pietro Vanessi, che si è dato da fare per realizzare l’idea, ci mette a disposizione il catalogo online. Non costa niente e non c’è coda chilometrica da affrontare.
Mettetevi comodi e sfogliatelo: la tavola che illustra quest’articolo è di Gianni Burato.






---

---
Catalogo EXBOH
Catalogo virtuale per una mostra mai fatta. Questo è il catalogo EXBOH, pronto da 6 mesi, per una mostra che doveva tenersi a giugno, poi a luglio, poi a settembre e poi... mai avvenuta e sempre rimandata per motivi tecnici, organizzativi, sponsor ritirati, appuntamenti mancati ecc ecc.
____________________
Non è facile, io ci avevo creduto ed ero, come al solito, partito pieno di entusiasmo ma ...alla fine ho dovuto desistere e abbandonare la lotta. Mi sono ritrovato SOLO ad affrontare tutto e non era né giusto né corretto.
 ____________________
Mi spiace solo per i tanti professionisti che ho coinvolto invano... ora dovrò sdebitarmi con loro per la figuraccia fatta. Ma non è dipeso da me, sappiatelo....
 ____________________
Godetevi queste pagine testimoni di quello che SAREBBE POTUTO ESSERE e che invece non è stato
Pietro Vanessi

Fidenza: "WORLD HUMOR AWARDS" Anteprima "dal Mondo Piccolo al Mondo Grande"

$
0
0
"WORLD HUMOR AWARDS" 
Anteprima "
dal Mondo Piccolo al Mondo Grande"


Nei locali del Palazzo Orsoline a Fidenzaè stata inaugurata nei giorni scorsi, il 16 ottobre 2015, l'esposizione" dal Mondo Piccolo al Mondo Grande"che nasce da un'idea di Gianandrea Bianchi. L'esposizione vuol essere un primo momento, un'anteprima come recita il manifesto, di un progetto più ampio che negli anni futuri potrebbe fare del  "mondo piccolo" fidentino la capitale dell'umorismo grafico.

Parlare di "Mondo Piccolo"è parlare di Giovannino Guareschi ed a lui è dedicata la prima parte della mostra, con alcuni disegni dello scrittore e quelli degli illustratori del Mondo Piccolo nel mondo, da Gus Bofa (Francia), a Istvan Kelemen (Ungheria), a Karel Thole (Paesi Bassi) a GiPi ( lo "straniero di casa nostra" che illustrò l'edizione di Don Camillo stampato dal settimanale satirico "Cuore" ).



Ma mondo piccoloè anche prossimità ed allora ecco nella seconda saletta le copertine del Numero Unico, il giornale satirico di Fidenza, nato il 9 ottobre 1898 in occasione della fiera locale "San Donnino" e da allora una tradizione indispensabile della festa patronale.
Nel 1899 viene fondato anche il Risveglio, voce dei cattolici fidentini, in un confronto che precorre  quello fra Peppone e Don Camillo.
Luigi Musini, il fondatore del numero unico, è laico socialista e quindi i direttori del settimanale della curia sono sono spesso oggetto della satira dal fogliaccio.




Il raccordo tra i due mondi ha pur sempre la sua chiave di lettura in Giovannino Guareschi, gli autori non sono della "bassa" o delle nostre zone, ma  autori italiani pluripremiati internazionalmente Lucio Trojano e Marco De Angelis
La mostra è molto interessante  e consiglio la visione diretta delle opere, ricordando che l'esposizione è aperta sino al primo di novembre a Fidenza in Via Andrea Costa n° 8.
da lunedì a venerdì: 17-19,30
sabato e domenica: 10-12 e 16-19,30

ingresso in Via Andrea Costa, 8


Karel TholeDON CAMILLO NEL MONDO



 
Marco De Angelis
MOSTRA PERSONALE





Lucio Trojano
MOSTRA PERSONALE

 



I "WORLD HUMOR AWARDS" sono un progetto per il 2016.

L'anteprima "dal Mondo Piccolo al Mondo Grande" pur non avendo opere in concorso propone un’interessante rassegna di autori qualificati.

L'associazione culturale LEPIDUS con la collaborazione di Alberto e Carlotta Guareschi presenta infatti una mostra di autori internazionali
che hanno illustrato le opere del padre ed alle quali il titolo fa riferimento.

Sono pannelli che riproducono le tavole di Karel Thole (Olanda), Gus Bofa (Francia), Istvan Kelemen (Ungheria), Gipi (Italia).
La rassegna inizia con alcune riproduzioni di Giovannino Guareschi.
Sul tema del "Mondo Piccolo" anche le sculture di Maurizio Zaccardi.

Un’interessante integrazione alla mostra riguarda le caricature realizzate per pubblicazioni locali d'epoca da: Nullo Musini - Musolino (1902) - Erberto Carboni (1922, la mano del futuro designer Barilla si vede già in questa esperienza giovanile) - Vittorino Ortalli - Il Tarlo (1927) assieme agli esordi di Rino Montanari con Bruno Rabaiotti e l'arch. Tassi Carboni.

Sono i precursori ed i contemporanei del "Mondo Piccolo".







Il "Mondo Grande" entra in scena con le personali di Lucio Trojano e Marco De Angelis, affermati e pluripremiati disegnatori di livello internazionale, entrambi fra i componenti della giuria del premio in progetto. Completa la rassegna Gio Testi (1° premio alla Biennale dell'Umorismo di Vercelli, 2000 per la caricatura di Dario Fo).





Inaugurazione 

Lucio Trojano, Fany e Marco De Angelis

Il sito: www.worldhumorawards.org/
La pagina di FaceBook

Carlotta Guareschi

$
0
0
 25 OTT - E' morta Carlotta Guareschi, figlia dello scrittore e umorista Giovannino Guareschi (1908-1968).
Ne dà notizia il fratello Alberto:
"Oggi ha concluso serenamente il suo percorso terreno mia sorella Carlotta riunendosi in cielo ai nostri genitori. Sposa, madre ammirevole, ha dedicato tutta la sua vita alla famiglia, alle persone che la circondavano e alla cura della memoria di nostro padre. sono certo che la "Pasionaria" sia già tra le braccia di Giovannino e Margherita".

La figlia dello scrittore del Mondo Piccolo aveva 72 anni.
Insieme al fratello Alberto si occupava dell'archivio di Roncole Verdi e del Centro Studi dedicato al padre, creatore tra l'altro delle vicende di Peppone e Don Camillo.

Carlotta era nata mentre il padre si trovava prigioniero in un campo di concentramento nazista insieme a quei militari italiani che dopo l'8 settembre si erano rifiutati di passare alla Repubblica di Salò. Lo poté vedere di persona solo quando aveva compiuto due anni al termine della guerra.
Rinchiuso nel lager, Giovannino le scrisse una canzone, la canzone di Carlotta:




“Carlotta”
Un chant de Giovannino Guareschi et Arturo Coppola écrit en 1944 alors qu'ils étaient tous deux prisonniers au Stalag X B de Sandbostel

Quando sopra il lager nel mattino senza color
si scatena il vento e porta cupo gelo nel cuor
nel paese del sol, tutto luce e calor
sulla sua seggiolina, la Carlottina sta.

(refrain)
La mamma l'ha annunciato con estrema serieta'
il babbo tornera', ma certo tornera'
pero' lei deve stare buona, buona sul balcon
guardando sempre la', verso il canton.

Seduta sul balcone la Carlotta se ne sta
e aspetta quel papa', che visto mai non ha
e palesando invero ragguardevole apprension
sospira masticando il biberon.

(bridge)
Chi sa, chi sa come sara'
questo famosissimo marito di mamma'
forse avra' i baffon, la barba ed il pancion
la pipa ed il baston, e gli occhiali col cordon.

(spoken) (Chi sa, chi sa che scassatissimo papa')

Ormai tramonta il sole e tutta azzura e' la citta'
per oggi non verra', cattivo d'un papa'
gli occhietti gia' si chiudon sulla nuova delusion
il sonno fa cadere il biberon.

~~~~~

(2)
Giace il lager muto, senza vita, senza doman
le baracche vuote, le torrette senza guardian
nel paese del sol, tutto luce e calor
sulla sua seggiolina, la Carlottina sta.

(refrain)
La mamma l'ha annunciato con estrema serieta'
il babbo tornera', ma certo tornera'
pero' lei deve stare buona, buona sul balcon
guardando sempre la', verso il canton.

Seduta sul balcone la Carlotta se ne sta
e aspetta quel papa', che visto mai non ha
e palesando invero ragguardevole apprension
sospira masticando il biberon.

(bridge)
Chi sa, chi sa come sara'
questo famosissimo marito di mamma'
forse avra' i baffon, la barba ed il pancion
la pipa ed il baston, e gli occhiali col cordon.

(spoken) (Chi sa, chi sa che scassatissimo papa')

Ed ecco appare all'angolo uno splendido guerrier
le stelle ha sul cimier, d'argento e' il suo piastrin:
il giustacuore azzurro ed i bottoni tutti d'or:
E' il babbo! E torna quasi vincitor! ...

~~fin~~
fonte
-

-
Canzone che Giovannino Guareschi, prigioniero IMI (Internati Militari Italiani) durante la 2a guerra mondiale, dedica a sua figlia, nata nel frattempo: porta un po' d'allegria e viene fischiettata durante le durissime giornate nelle baracche.

Il ricordo delle sofferenze patite avviene attraverso la forma comunicativa che più si presta a suscitare emozioni: la canzone. Guareschi era consapevole della funzione del canto in ambito militare, della forza trascinatrice di testi e musiche in cui i combattenti possono riconoscersi in un'identità comune; e se nel pezzo Le stellette che noi portiamo aveva inserito il ritornello di una canzone della Grande Guerra - l'unica canzone di trincea della quale i repubblicani, per quanto propensi agli inni, non si sarebbero mai potuti appropriare -, con le canzoni scritte durante la prigionia assieme a Coppola aveva dato vita a una nuova produzione musicale, acconcia a divulgare le idee-base e a rafforzare la solidarietà, la coesione e la fierezza nel gruppo dei resistenti. Una produzione, quella del lager, che può stare alla pari, per qualità se non per quantità, con quella partigiana. La rubrica Canzoni del lager di Radio B90 ospitava nelle interpretazioni del cantante Pierino (Valerio dei Cas) diverse canzoni in voga al tempo, ma anche testi scritti e musicati nella prigionia dalla coppia Mario Vezzosi e Camillo Mariani (Un bel dì vedremo un fil di fumo, C'era una volta tre porcellin, Milàn Milàn), da Rino Mazzucchelli (Lontano dal mio cuore, Ritorno), da Cesarini (Angioletti) e dalla coppia Guareschi-Coppola (Dai dai Peppino - nata nell'estate 1944 su ispirazione dell'avanzata russa, e aggiornata nei primi mesi del 1945 - , Magri ma sani - che trae il titolo dal motto adottato nella baracca 18 di Benjaminow per resistere agli inviti al lavoro - e Carlona), o del solo Coppola (Cesarina - che narra di un prigioniero tradito nei sentimenti - e Treviso - in dialetto Veneto, dedicata a tutte le città italiane devastate dai bombardamenti).

-

-
Gianrico Tedeschi - Ritorno alla base e La canzone di Carlotta di Giovannino Guareschi




“Fu a Natale, nel ’47”, da Lo Zibaldino, 1948
(…) Forse Margherita ha ragione quando dice che occorre la maniera forte coi bambini: il guaio è che, a poco a poco, usando e abusando della maniera forte, in casa mia si lavora soltanto con le note sopra il rigo. La tonalità, anche nei più comuni scambi verbali, viene portata ad altezze vertiginose e non si parla più, si urla. Ciò è contrario allo stile del “vero signore”, ma quando Margherita mi chiede dalla cucina che ore sono, c’è la comodità che io non debbo disturbarmi a rispondere perché l’inquilino del piano di sopra si affaccia alla finestra e urla che sono le sei o le dieci.
Margherita, una sera del mese scorso, stava ripassando la tavola pitagorica ad Albertino, e Albertino s’era impuntato sul sette per otto.
«Sette per otto?» cominciò a chiedere Margherita. E, dopo sei volte che Margherita aveva chiesto quanto faceva sette per otto, sentii suonare alla porta di casa. Andai ad aprire e mi trovai davanti il viso congestionato dell’inquilino del quinto piano (io sto al secondo).
«Cinquantasei!» esclamò con odio l’inquilino del quinto piano.
Rincasando, un giorno del dicembre scorso, la portinaia si sporse dall’uscio della portineria e mi disse sarcastica: «È Natale. è Natale — è la festa dei bambini — è un emporio generale — di trastulli e zuccherini!».
“Ecco” dissi tra me “Margherita deve aver cominciato a insegnare la poesia di Natale ai bambini.”
Arrivato davanti alla porta di casa mia, sentii appunto la voce di Margherita: «È Natale, è Natale — è la festa dei bambini!…».
«È la festa dei cretini» rispose calma la Pasionaria. Poi sentii urla miste e mi decisi a suonare il campanello.

Sei giorni dopo, il salumaio quando mi vide passare mi fermò.
«Strano» disse «una bambina così sveglia che non riesce a imparare una poesia così semplice. La sanno tutti, oramai, della casa, meno che lei.»
«In fondo non ha torto se non la vuole imparare» osservò gravemente il lattaio sopravvenendo.
«È una poesia piuttosto leggerina. È molto migliore quella del maschietto: “O Angeli del Cielo — che in questa notte santa — stendete d’oro un velo — sulla natura in festa…”.»
«Non è così» interruppe il garzone del fruttivendolo. « “o Angeli del Cielo — che in questa notte santa — stendete d’oro un velo — sul popolo che canta…”» Nacque una discussione alla quale partecipò anche il carbonaio, e io mi allontanai. Arrivato alla prima rampa di scale sentii l’urlo di Margherita:
«”… che nelle notti sante — stendete d’oro un velo – sul popolo festante”».
Due giorni prima della vigilia, venne a cercarmi un signore di media età molto dignitoso.
«Abito nell’appartamento di fronte alla sua cucina» spiegò. «Ho un sistema nervoso molto sensibile, mi comprenda. Sono tre settimane che io sento urlare dalla mattina alla sera: “È Natale, è Natale — è la festa dei bambini — è un emporio generale — di trastulli e zuccherini”. Si vede che è un tipo di poesia non adatto al temperamento artistico della bambina e per questo non riesce a impararla. Ma ciò è secondario; il fatto è che io non resisto più: ho bisogno che lei mi dica anche le altre quartine. Io mi trovo nella condizione di un assetato che, da quindici giorni, per cento volte al giorno, sente appressarsi alla bocca un bicchiere colmo d’acqua. Quando sta per tuffarvi le labbra, ecco che il bicchiere si allontana. Se c’è da pagare pago, ma mi aiuti.»
Trovai il foglio sulla scrivania della Pasionaria.
Il signore si gettò avidamente sul foglio: poi copiò le altre quattro quartine e se ne andò felice.
«Lei mi salva la vita» disse sorridendo.
La sera della vigilia di Natale passai dal fornaio, e il brav’uomo sospirò.
«È un pasticcio» disse. «Siamo ancora all’emporio generale. La bambina non riesce a impararla, questa benedetta poesia. Non so come se la caverà stasera. Ad ogni modo è finita!» si rallegrò.
Margherita, la sera della vigilia, era triste e sconsolata.
Ci ponemmo a tavola, io trovai le regolamentari letterine sotto il piatto. Poi venne il momento solenne.
«Credo che Albertino debba dirti qualcosa» mi comunicò Margherita.
Albertino non fece neanche in tempo a cominciare i convenevoli di ogni bimbo timido: la Pasioraria era già ritta in piedi sulla sua sedia e già aveva attaccato decisamente: «”O Angeli del Cielo — che in questa notte santa stendete d’oro un velo — sul popolo festante…”».
Attaccò decisa, attaccò proditoriamente, biecamente, vilmente, e recitò, tutta d’un fiato, la poesia di Albertino.
«È la mia!» singhiozzò l’infelice correndo a nascondersi nella camera da letto.
Margherita, che era rimasta sgomenta, si riscosse, si protese sulla tavola verso la Pasionaria e la guardò negli occhi.
«Caina!» urlò Margherita.
Ma la Pasionaria non si scompose e sostenne quello sguardo. E aveva solo quattro anni, ma c’erano in lei Lucrezia Borgia, la madre dei Gracchi, Mata Hari, George Sand, la Dubarry, il ratto delle Sabine e le sorelle Karamazoff.
Intanto Abele, dopo averci ripensato sopra, aveva cessata l’agitazione. Rientrò Albertino, fece l’inchino e declamò tutta la poesia che avrebbe dovuto imparare la Pasionaria.
Margherita allora si mise a piangere e disse che quei due bambini erano la sua consolazione.
La mattina un sacco di gente venne a felicitarsi, e tutti assicurarono che colpi di scena così non ne avevano mai visti neanche nei più celebri romanzi gialli.










-

-
Peppone e Don Camillo Giovannino Guareschi raccontato dai figli

Il "mondo piccolo" di Giovannino Guareschi. Letture e dialogo

Tangenti Anas

$
0
0



La dama nera (scandalo Anas)
Tiziano Riverso

AN(n)ASpiamo (e Sanremo fàmosi)


La dama nera? Ci spertichiamo a riportare nomignoli d’effetto nel verminaio Anas, giusto perché  pigliamo (piamo) più attenzione, ché da anni il “solo” riferire l’ennesimo nazionale atto delinquenziale acchiappa più nessuno.  Nello stesso giorno c’è stato propinato il vigile sanremese in mutande, senz’altro più acchiappante degli altri forsennati colleghi-ladri di pubblici stipendi vestiti. Tutti comunque accomunati  nel timbrare il cartellino in proprio e per delega e subito dopo via, a occuparsi dei propri personalissimi affari. E fàmosi pure ‘sto Sanremo’!
Queste storie nazionali sono iniziate fin dal secondo dopoguerra e da allora ampiamente s’è puppato, compiacenti i tempi di vacche grasse. Poi furono vacche e basta. Fu poi  epoca di “magre” (vacche e no) che scodellò profonda assenza dei servizi di base e strade mai finite e/o piene di voragini insidiose. E qui stiamo: con  le amministrazioni che falliscono perché non c’è più ticket da spremere ai contribuenti prosciugati (strisce blu  da ZTL assurde,  ammende lunari da telecamere,  ammennicoli strategici per diritti di segreterie strampalate ecc. in cambio di carenze devastanti nell’assistenza sanitaria/scolastica/assistenziale). E poi… e poi oggi: la povertà e la miseria degli sconosciuti (ai nazionali media embedded) dilaga. Nelle nostre passeggiate è sufficiente non voltare la testa da un’altra parte per capire.
Gli italiani (non delinquenti) annaspano per arrivare a fine mese. Servono ai Salvini di turno per farsi pubblicità a gratis, mica per entrare nel merito.
Nel merito c’entra lo Renzi il Munifico: gli servono per dichiarare che è materia per gufi disfattisti.
E fàmosi st’altro giro…
23 ottobre 2015





A TUTTA MAZZETTA
Esisterà in Italia una STRADA
per fermare la corruzione ?
Roberto Mangosi


Ellekappa

Giannelli 



Bochicchio
----------------------------------------------------------------------------------
Anas, «pizzini» e parole in codice Ecco chi è la «dama nera»

Ma a Sanremo come lo timbrano il cartellino?

$
0
0


MUTANDA PARTY
Ma quello che timbrava in mutande,
stava entrando o uscendo ??
Roberto Mangosi


Perché Sanremo è Sanremo
MASSIMO GRAMELLINI
Se un dipendente pubblico dichiara di essere in ufficio senza esserci commette un reato. Ma se a dichiarare il falso sono in duecento, quasi la metà della forza lavoro del Comune di Sanremo, la strisciata collettiva di cartellini taroccati che cosa diventa? Una prassi. La costituzione non scritta di questa repubblica fondata sul livore per le ruberie altrui, ma dove si ruba pacificamente ovunque, mica solo all’Anas. La repubblica delle BanAnas. Per farne parte occorre avere la faccia come il badge. Come il vigile che timbra il cartellino in mutande e scompare nella nuvola dei fatti suoi. Come lo stakanovista della canoa che si segna lo straordinario e poi va a pagaiare, e magari si lamenta dei politici senza nemmeno essere attraversato dal sospetto di appartenere a una casta anche lui. Come il funzionario animato da nobili intenti educativi che manda la figlia a timbrare al posto suo e la povera fanciulla, volenterosa ma inesperta, striscia quattro volte il cartellino prima di imparare a truffare lo Stato. Come l’impiegata che passa nella macchinetta il proprio badge e quello di un paio di amiche con la naturalezza di chi oblitera il biglietto della metropolitana, mentre i colleghi in coda dietro di lei fingono di non vedere o si accingono a fare lo stesso.

La malattia è talmente diffusa che i malati non sanno più di esserlo e i medici stanno peggio di loro. Forse qualche licenziamento in tronco potrebbe rinfrescare la memoria a tutti quanti. Perché Sanremo è Sanremo, cuore pop dell’Italia intera, ma se le telecamere nascoste venissero piazzate su qualsiasi altro palco del Belpaese lo spettacolo non sarebbe più allegro.


Franco Portinari




Senti chi casta
MASSIMO GRAMELLINI
Una rapida scorsa ai profili Facebook dei dipendenti del Comune di Sanremo arrestati per assenteismo reiterato e molesto introduce il lettore in un universo meraviglioso. «Mi vergogno di essere rappresentato da politici corrotti che saccheggiano ogni santo giorno uno dei Paesi più belli del mondo», scrive un saccheggiatore quotidiano delle casse pubbliche di uno dei Paesi più belli del mondo. Sorvolando sulle citazioni di Falcone e Margherita Hack in materia di morale e legalità, dispensate a pioggia da quei pulpiti illuminati, ecco un altro frequentatore seriale di cartellini taroccati che posta la foto di un uomo spiaggiato in un bar all’aperto accanto al cartello «Oggi passo la giornata come un politico, cioè non faccio un czz.». Col senno di poi sembrerebbe un’autodenuncia, ma con quello di prima si rivela soltanto l’ennesima testimonianza di una dissociazione mentale: i politici che rubano incarnano il male assoluto, mentre chi li critica comportandosi in piccolo come loro presidia l’avamposto del bene.

Perché sta qui l’aspetto peculiare e forse inemendabile dell’illegalità spicciola all’italiana. L’impiegato assenteista che striscia il badge per sé e i suoi cari non si sente un delinquente che imbroglia, ma una vittima che si arrangia. Un meschino tartassato o un talento incompreso, in ogni caso una persona in debito con la vita, che nella piccola truffa allo Stato vede una sorta di parziale e sempre provvisoria compensazione. Disprezza i politici perché in fondo ne invidia il potere. Il potere di rubare molto di più.

La carne rossa fa male come il fumo, l'amianto ecc.

$
0
0
the future's uncertain
Fabio Magnasciutti


La notizia:

The new meat rules: As experts warn it increases the chance of cancer, we reveal which types are the riskiest...

  • World Health Organisation report classed processed meat as carcinogenic
  • Processed meat includes bacon, sausages, salami, chorizo and burgers
  • Just 50g a day increases the risk of bowel cancer by 18%, report said
  • 50g of meat includes 2 slices of smoked ham or 10 slices of chorizo  

Read more: http://www.dailymail.co.uk/health/article-3291561/The-new-meat-rules-experts-warn-increases-chance-cancer-reveal-types-riskiest.html (DailyMail )



Bacon, hamburger e salsicce potrebbero causare il cancro al pari delle sigarette. A dirlo è l'Organizzazione mondiale della Sanità, che aggiungerà i prodotti confezionati di carne rossa alla propria lista di sostanze cancerogene, assieme a fumo, arsenico, alcol e amianto. Nel mirino anche la carne rossa fresca, che verrà inserita nella "enciclopedia dei cancerogeni" ed etichettata come "lievemente meno pericolosa" rispetto ai lavorati industriali. Lo rivela in anteprima al Daily Mail britannico una "fonte interna ben posizionata".



Lo scoop della rivista inglese è stato ripreso da tutte le testate giornalistiche italiane creando molto panico tra la popolazione.
Il testo dell OMS verrà reso noto a metà del 2016
Mi chiedo perchè fare tutto questo allarmismo in modo ingiustificato?
In attesa cerchiamo di sorridere ...





Giannelli




Bochicchio

Fulvio Fontana


Fulvio Fontana


Franco Stivali

Mario Airaghi

La Micela


CARNI ROSSE
L'OMS avvisa che vi sono numerose prove che il consumo di carni rosse aumenti il rischio di cancro.
Dovremo marcare tutti i bovini come già fatto per i pacchetti di sigarette?
UBER

Fabio Magnasciutti


Tiziano Riverso

----------------------------

Links:
La carne rossa provoca il cancro solo in Italia? (Alberto Cane)

Orgoglio EXPO con tante riserve

$
0
0
Milano saluta il mondo. Sono passate da pochissimo le 19 quando il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, pronuncia queste parole:
"Dichiaro ufficialmente chiusa questa Esposizione". 
Un'Esposizione - ora si può davvero tracciare un bilancio di questi 184 giorni - che "è stata un successo" con i suoi 21 milioni e mezzo di visitatori. Lo dice uno che di Expo se ne intende: è il segretario generale del Bie (Bureau International des Expositions), Vicente Loscertales che aggiunge: "Farà entrare questo luogo nella storia di Expo". E' lui che ha consegnato la bandiera di Expo ai rappresentanti di Astana, la città del Kazakistan che ospiterà Expo 2017 e farà da ponte verso Dubai 2020.


 Gianni Falcone:
"L'Expo spegne le luci. Amen
Chiude l’Expo. Un successo planetario, dicono: s’è parlato per mesi dell’Italia, delle sue eccellenze, dell’alzare la testa, del riscatto, e via gonfiando il petto.
Obiettivamente, una grande prova, ma attraverso la quale si tenta di far passare troppe cose mentre tante altre aspettano un po’ di luce.
I conti, per dire. E l’organizzazione: giustamente ci si vanta di aver centrato l’obiettivo dei 20 milioni di visitatori (e però un anno fa era il minimo al di sotto del quale sarebbe stato flop), ma non si capisce come mai questa mirabolante macchina non abbia poi saputo organizzare i flussi. Con un gioco di prestigio si vantano le code infinite come testimonianze di successo, ma tenere in fila migliaia di persone per ore non può essere un vanto per nessuno; costringere chi ha affrontato un viaggio anche lungo e spese non indifferenti a vedere solo tre o quattro padiglioni passando la maggior parte del tempo nelle attese non può essere esibito come fulgido esempio di efficiente organizzazione.
Ma pare che chi ha presieduto tutto questo sia destinato ad essere il prossimo sindaco di Milano.

Ah, dimenticavo: e a nutrire il pianeta come siamo messi?
Su www.gianfalco.it
#expo "



-

-

dopo ottobre 2015
Contemori


Portos



IL RISTORANTE CHIUDE
EXPO 2015: Nutrire il pianeta.
Ma chi digiunava prima, digiuna anche adesso.
Roberto Mangosi


La Micela

CARTA DI MILANO

Expo chiude, resta la Carta di Milano

Luci e ombre dell’atto sul diritto a cibo
Baraldi


Pare che ci sia ancora qualcuno in coda al padiglione del Giappone.
Lele Corvi

------------------------------------------------------------------------

PS: a proposito delle code di EXPO

Fantastico CROZZA





*

Gianni Rodari: promemoria

$
0
0
PROMEMORIA
(Gianni Rodari)

CI SONO COSE DA FARE OGNI GIORNO:
LAVARSI, STUDIARE, GIOCARE
PREPARARE LA TAVOLA,
A MEZZOGIORNO.

CI SONO COSE DA FARE DI NOTTE:
CHIUDERE GLI OCCHI, DORMIRE,
AVERE SOGNI DA SOGNARE,
ORECCHIE PER SENTIRE.

CI SONO COSE DA NON FARE MAI,
NE’ DI GIORNO NE’ DI NOTTE
NE’ PER MARE NE’ PER TERRA:
PER ESEMPIO, LA GUERRA



Alla formica 

Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica.
Io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende, regala.





Il cielo è di tutti

Qualcuno che la sa lunga
mi spieghi questo mistero:
il cielo è di tutti gli occhi
di ogni occhio è il cielo intero.

È mio, quando lo guardo.
È del vecchio, del bambino,
del re, dell'ortolano,
del poeta, dello spazzino.

Non c'è povero tanto povero
che non ne sia il padrone.
Il coniglio spaurito
ne ha quanto il leone.

Il cielo è di tutti gli occhi,
ed ogni occhio, se vuole,
si prende la luna intera,
le stelle comete, il sole.

Ogni occhio si prende ogni cosa
e non manca mai niente:
chi guarda il cielo per ultimo
non lo trova meno splendente.

Spiegatemi voi dunque,
in prosa od in versetti,
perché il cielo è uno solo
e la terra è tutta a pezzetti.



Rivoluzione (Gianni Rodari)

Ho visto una formica
in un giorno freddo e triste
donare alla cicala
metà delle sue provviste.

Tutto cambia: le nuvole,
le favole, le persone.
La formica si fa generosa:
E’ una rivoluzione!


Quanto pesa una lacrima? La lacrima di un bambino capriccioso pesa meno del vento, quella di un bambino affamato pesa più di tutta la terra.


Rodariani di tutto il mondo uniamoci
Omaggio a Gianni Rodari
di Mauro Biani

Il 23 ottobre scorso Gianni Rodari avrebbe compiuto 95 anni
Buon compleanno Gianni!

Gianni Rodari (Omegna, 23 ottobre 1920 – Roma, 14 aprile 1980) è stato uno scrittore, pedagogista, giornalista e poeta italiano, specializzato in testi per bambini e ragazzi e tradotto in moltissime lingue. Vincitore del prestigioso Premio Hans Christian Andersen (edizione 1970), fu uno tra i maggiori interpreti del tema "fantastico" nonché, grazie alla Grammatica della fantasia, sua opera principale, uno fra i principali teorici dell'arte di inventare storie.

Il sito

Disegni di Fabio Magnasciutti e di Mauro Biani

Messico: La Ciudad de las Ideas 2015

$
0
0
Cartoons
International Cartoon Contest
Through a caricature, enter to win your ticket to La Ciudad de las Ideas 2015 This scholarship calls for national and international community of cartoonists to interpret the dangerous question of the year in a work of authorship.

CARICATURAS
Concurso Internacional de Caricatura.
A través de una caricatura, participa para ganar tu boleto a La Ciudad de las Ideas 2015. Esta beca convoca a la comunidad nacional e internacional de caricaturistas para interpretar la pregunta peligrosa del año en una obra de su autoría.

Concorso di disegni satirici internazionale.
Con una caricatura, puoi partecipare per vincere il tuo biglietto per La Ciudad de las Ideas 2015 Questa borsa di studio chiama la comunità nazionale ed internazionale di vignettisti per interpretare la domanda pericolosa dell'anno in un opera d'autore.





Primo premio



SILVANO MELLO - MELLO
Title: Amarres Capitalistas, Desigualdades, Diferencias
Year: 2015
Country: Brazil




Secondo Premio


MARILENA NARDI
Title: .Old Europe
Year: 2015
Country: Italy


Terzo Premio



SEYED ALI MIRAEE
Title: 1-The bias cause to return to primitive era. 2-All think that their belief is true. 3-Earth pollution
Year: 2015
Country: Iran

Menzioni d'onore


ELENA OSPINA
Title: ese es el punto...
Year: 2015
Country: Colombia



BERNARD BOUTON - BERNIE
Title: child labour
Year: 2015
Country: France



PEDRO MOLINA
Title: .
Year: 2015
Country: Nicaragua


----------------------------------------------------------------------

La Giuria


7o Concurso Internacional de Caricatura dentro del marco del Festival de Mentes Brillantes, presenta al honorable jurado de esta edición 2015

Cuenta regresiva, el jurado del Festival de Mentes Brillantes, Ciudad de las Ideas 2015 ya está en acción, lo componen: Andres Roemer, Mohammad Ali Khalaji de Irán, Adriana Mosquera Soto de Colombia/España, Omar Zevallos de Perú y su servidora Martha Barragan Mar.


http://www.ciudaddelasideas.com/caricaturas/


-------------------------------------------------------------------------------------


“Cosa resta della satira in Italia” di Nicola Lagioia

$
0
0
Nicola Lagioia scrive per Internazionale un interessante reportage sul tema delle satira in Italia.

Che fine ha fatto la satira in Italia? Ce n’è ancora bisogno? A meno di un anno dalla strage di Charlie Hebdo, che equilibrio abbiamo trovato tra libertà d’espressione, insulto inaccettabile e salutare bisogno di deridere il potere? Soprattutto, c’è da chiedersi se un certo modo di deridere il potere abbia mostrato la corda più di quanto non osiamo sospettare.

Lo scorso settembre, durante la mostra del cinema di Venezia, ho avuto la fortuna di moderare un dibattito a cui hanno partecipato alcuni protagonisti della stagione d’oro della satira italiana tra gli anni settanta e ottanta. L’occasione era Zac–I fiori del Male, il film documentario di Massimo Denaro dedicato alla figura di Pino Zac e all’avventura del Male, l’indimenticata rivista settimanale che seppe guadagnarsi l’odio del giornalismo e della politica istituzionali, nonché l’amore incondizionato di migliaia di lettori. All’incontro, oltre al regista, erano presenti Vincenzo Sparagna, Riccardo Mannelli, Vincino, Valter Zarroli e Drahomira Biligova, che di Zac è stata moglie.

Pino Zac, al secolo Giuseppe Zaccaria, fondò Il Male nel 1977, ed è l’ennesima vittima della triste sindrome italiana che ci fa rimuovere ciò per cui dovremmo provare almeno un po’ d’orgoglio. Oggi dimenticato, Zac non si limitò a far nascere Il Male. Fu tra i primi a introdurre da noi le strisce di fumetti autoconclusive. Nel 1970 portò sullo schermo Il cavaliere inesistente di Italo Calvino, un film girato con tecnica mista. Frequentò la Harvard della satira europea che era ed è ancora il settimanale francese Le Canard enchaîné. Importò codici espressivi su cui il giornalismo italiano era indietro di anni. Fu sicuramente il primo a disegnare il papa senza veli, anche se non per tutti questo è stato un merito.

Dar vita a Il Male (già I quaderni del Sale) in un’Italia di piombo e acquasantiere dentro le quali una mano lavava l’altra con una fregola da lady Macbeth, fu certamente un merito, anche perché quell’avventura ne generò delle altre. Cannibale, Frigidaire, Tango, Zut, Cuore (l’ultima rivista satirica che in Italia abbia mosso qualcosa) pur nella loro diversità hanno tutte un debito con Zac e i suoi spericolati sodali: disegnatori, vignettisti, intellettuali iconoclasti quanto certe punk star dell’epoca, alcuni dei quali erano appunto insieme a me alla fine di quest’estate, a parlare di ciò che è stato e di cosa non è più.


Irritanti più del previsto

Molti ricordano le finte copertine con cui Il Male parodiava i quotidiani italiani. La più nota risale al 1979 ed è il falso di tre giornali (Paese Sera, La Stampa e Il Giorno) con la notizia di Ugo Tognazzi arrestato con l’accusa di essere il capo delle Brigate Rosse.
Non furono da meno la falsa copertina della Repubblica nei giorni del funerale di Aldo Moro (titolo: “Lo Stato si è estinto”) e il finto Corriere dello Sport che annunciava l’annullamento dei Mondiali del 1978.



Le false copertine del Male

Queste, che possono sembrare goliardate di cattivo gusto, fecero infuriare i direttori di diversi giornali presi in giro. Anche perché, più che semplici prese in giro, facevano passare l’idea di “falsi di falsi”: i mezzi d’informazione nazionali, formalmente una controparte dei poteri forti a tutela dei cittadini, erano in realtà un’espressione mascherata, e a guardar bene ridicola, delle istituzioni che avrebbero dovuto controllare e all’occorrenza biasimare. Far passare il messaggio con armi così immediate come quelle della satira spiazzò e irritò più del previsto.

Ma i “falsi” non erano niente. Ascoltando Sparagna, Mannelli e (ex) soci, il pubblico veneziano, come se fossero passati quattro secoli e non quarant’anni, era incredulo davanti a ciò che una rivista in grado di vendere 150mila copie a numero si permetteva di fare negli anni più bui della prima repubblica. La prima copertina di Il Male, con il titolo “La misura è colma”, ritraeva un vaso da notte pieno di feci, decorato con le facce di Berlinguer, Andreotti, La Malfa.

Un’altra copertina raffigurava Andreotti nell’atto di sodomizzare la Giustizia. Un’altra ancora – titolo d’autore “Er padre de li santi” – fu forse la più estrema:
il volto di Aldo Moro era disegnato da Pino Zac come un organo genitale maschile, e accanto al disegno l’omonimo sonetto del Belli con il cognome del parodiato al posto della parola “cazzo” (”er Moro se po di’ radica, uccello, cicio…”).

All’interno del numero spiccava un esercizio di chiromanzia in cui Tersite (pseudonimo di Sparagna) raccontava di una lettura della mano di Aldo Moro da cui si presagiva per il presidente della Dc il carcere e una brutta fine. Non proprio roba leggera. Ma ecco che uno scherzo del destino fece esplodere oltremisura la carica eversiva di quel numero: a pochi giorni dall’uscita, Moro fu rapito dalle Brigate rosse. Alcuni collaboratori del Male (che odiavano le Br quanto il compromesso storico) finirono in questura sospettati di aver avuto informazioni in anteprima dai terroristi.


Non si contarono le querele, i guai giudiziari e le difficoltà economiche per Il Male, e molte riviste successive non ebbero vita facile. “Sto ancora pagando”, risponde ridendo amaramente a chi glielo domanda Vincenzo Sparagna, che oltre ad aver fatto nascere Cannibale e Frigidaire, del Male fu direttore responsabile dopo che Zac andò via.

Oggi, dopo che il politicamente corretto è stato il bromuro quotidiano nella minestra della sinistra – e il politicamente scorretto il randello con cui la destra esorcizza un’invidia penis sempre più imbarazzante – può sembrare impossibile che certe armi retoriche fossero usate senza creare scandalo anche tra i lettori, specie l’ex ceto medio riflessivo che insorge se qualcuno in tv dà del rabbino a qualcun altro per sottolinearne l’avarizia – o se dice di aver “lavorato come un negro”, seguono scuse alle associazioni antirazziste; perfino di aver “lavorato come un ciuco”, seguono scuse alle associazioni per la sindacalizzazione degli animali da soma – e poi, con passione da volenteroso carnefice, contribuisce alla gogna mediatica di uno showman che investe un pedone con lo scooter senza che ci scappi il morto.

Ancora più strano può sembrare che l’irriverenza di certa satira si sia spinta fino agli anni novanta. Perfino Cuore – giornale su cui quel ceto medio si riconobbe da giovane, credendosi più spericolato e anticonformista di quanto non fosse – pubblicava vignette che oggi scatenerebbero come minimo un’interpellanza parlamentare.

Cuore fu per parecchio tempo l’inserto satirico dell’Unità. Eppure, quando nel 1993 Raul Gardini si suicidò a pochi giorni da Gabriele Cagliari, la rivista non si fece scrupoli a titolare “E la barca tornò sola. Raul Gardini eterno secondo: Cagliari lo beffa all’ultima boa”. L’allusione era alle avventure velistiche di Gardini, che aveva mancato di un soffio la vittoria all’America’s cup. E ancora, tra i “motivi per cui vale la pena vivere” nel Giudizio universale di Cuore comparivano senza imbarazzo voci come “la droga” o “Craxi che fa il pissing su Martelli”.

Non bisogna credere che quel tipo di satira – nonostante l’ultima incarnazione di Cuore venerasse un po’ troppo il pantheon culturale del Pds per essere davvero anarchica – se la prendesse solo coi potenti.

Resta celebre una vignetta di Andrea Pazienza (siamo nel periodo di Zut e Tango) che ritraeva un metalmeccanico piegato a novanta gradi con lo sguardo sorridente e un cambio d’automobile infilato nel posteriore, titolo: “Gli operai Fiat hanno il cazzinculo di serie (cazzinculo® è un brevetto Fiat)”.

Si biasimava in quel caso l’eccessiva arrendevolezza dei lavoratori davanti alla dirigenza, nonché l’oscura fascinazione che non pochi di loro nutrivano per gli Agnelli, uno degli eterni rimossi della lotta di classe all’italiana. La base non gradì, e non lo fece la parte istituzionale di Pci e Cgil che dalla santificazione degli operai traeva forza per se stessa.

Deridere il suicidio di Gardini. La faccia di Berlinguer su un vaso da notte. Moro sbertucciato sia da vivo sia da morto. Il papa nudo. Le guance di Andreotti gonfiate fino a ottenerne un culo (titolo: “Con che faccia si è ripresentato?”). La violenza degli attacchi di Zac e soci – oltre ai nomi già citati, nel Male transitarono Vauro, Jacopo Fo, Angese; così come, oltre a Pazienza, non si possono dimenticare Stefano Tamburini, Tanino Liberatore, Filippo Scozzari, Massimo Mattioli nella brigata di Frigidaire – può apparire eccessiva.


Non dimentichiamo però che a essere presa di mira era una classe politica e dirigente sospettata di avere collusioni con la mafia, con i servizi segreti deviati, di aver contribuito a depistare le indagini sulle stragi di stato, di baciare anelli cardinalizi sporchi di sangue e denaro riciclato, di aver rubato, tradito e magari commissionato omicidi.

Un altro campionato

E oggi? Come mai, già spuntate in epoca berlusconiana, le armi della satira ci appaiono alla stregua di buffetti o al limite di scherzi vagamente fastidiosi per il potere, se paragonate a ciò che succedeva allora? È questa la domanda che ho rivolto a Sparagna, Mannelli, Vincino e Zarroli a un certo punto dell’incontro veneziano. Non volevo che la serata si riducesse a un amarcord.

“Il problema è che ciò che oggi comunemente chiamiamo satira, semplicemente, non è tale”, mi hanno risposto all’unisono. “Rispetto il lavoro di uno come Maurizio Crozza”, ha continuato Mannelli, “tecnicamente è molto bravo. Solo, come dire… è un altro campionato. Lì al massimo si tratta di umorismo. Siamo nel campo dell’accettabile”.

Laddove proprio l’inaccettabile era il marchio di fabbrica di giornali come Il Male. Se il Gasparri o il Renzi o il Larussa o il Vendola o la Santanché di turno, per quanto feriti nell’arroganza, possono ridere con Crozza quando sono presenti in trasmissione mentre lui li prende in giro, per Andreotti era semplicemente inconcepibile anche solo far finta di dar di gomito alla propria faccia disegnata come un culo, o a La Malfa e Berlinguer in quanto rappresentati come contenitori di merda fumante, o ai sodali di Gardini davanti alla derisione del suo suicidio.

“È per questo che in tv mi rifiutavo di fare il comico che prendeva in giro i politici”, ebbe a dire Massimo Troisi durante gli ultimi anni della sua vita,

perché se ti limiti a dire che Andreotti è gobbo e Fanfani è corto rischi di fare il loro gioco. Ti metti la coscienza a posto e aiuti la Dc ad apparire più democratica solo perché ti fa passare le battute. Se me lo facevano fare, significava che era innocuo, addirittura necessario a quel tipo di potere. Se un regime ti permette di giocare, significa che ci guadagna qualcosa. Le cose inaccettabili avrei potuto dirle a teatro, con un pubblico ridotto, e forse non farlo fu un errore. In tv avrei potuto fare il comico ufficiale. Me ne sarei vergognato.


“Il problema…”, ha continuato sempre più coraggiosamente Mannelli, questo disegnatore che ammiro sin da quando ero ragazzo, almeno quanto da ragazzo ammiravo il coraggio e lo spirito di iniziativa di uno come Sparagna, “il problema è che a noi ci hanno rovinato i grandi giornali. La stampa istituzionale. Avanti, ammettiamolo! Vincino, non dirmi che sul Foglio sei incisivo quanto lo eri sul Male. E del resto io stesso… non è che quando disegno su Repubblica faccio le cose che mi permettevo di fare ai tempi di Zac. Anche sul Fatto Quotidiano… nemmeno lì sono così incisivo, se proprio devo dire. Sui giornali è tutto depotenziato”.

“E lo vieni a dire a me! A me che ho sempre lavorato per la stampa indipendente!”, è stata la reazione di Sparagna, che comunque – e questo è il bello di Sparagna – mentre protestava non smetteva mai di sorridere sornione.

“Sei comunque meno influente di allora. Anche diventare di nicchia può essere una colpa”.

“Ma come!”, è intervenuto Vincino, “vuoi dire che quando oggi disegniamo sui giornali, non abbiamo la libertà che ci serve?”.

E Mannelli:

Anche se avessi tutta la libertà che mi serve, e magari a volte ce l’ho, è il contenitore che determina il messaggio. Si chiami Repubblica, o Corriere della Sera o Foglio o Fatto Quotidiano… sono loro a dettare il menù, le priorità, a fare da cornice, a metterti in un contesto che per forza di cose già spinge da una parte o dall’altra la vignetta che tu hai appena disegnato. Quella vignetta lì, che tu lo voglia o meno, inizia a prendere la forma del giornale che la ospita, a sposarne le battaglie, a seguirne suo malgrado la direzione. Nella stampa istituzionale siamo tollerati. Al limite siamo degli ospiti. E, come tali, sovrastati dalle regole del padrone di casa.


Già, la stampa. E la televisione: come non pensare a Vauro che quasi diventò una star ad Annozero?

Il discorso ufficiale, che all’occorrenza ospita i protagonisti della satira, siano bravi disegnatori, bravi imitatori, bravi attori di teatro, rischia di convertire ai propri codici anche ciò che dovrebbe risultargli indigeribile. Un primo aspetto del discorso riguarda proprio questo. E un secondo, molto più problematico, riguarda la presunta efficacia, per il 2015, di ciò che funzionava nel 1977.

Ma cominciamo dai giornali. I giornali, in Italia, non hanno mai sofferto una crisi di credibilità e di lettori come quella degli ultimi anni. L’arrivo di internet è stato esiziale di per sé, ma ha anche infilato il dito in piaghe che ci avrebbero messo più tempo a sanguinare. Non conosco nessuno che ami davvero il quotidiano che legge abitualmente e compra ancora meno.

Un giornalismo brutto e necessario

Ai quotidiani ormai le persone si avvicinano come fanno con i partiti politici. Un male necessario. La sensazione è che si turino il naso rassegnandosi a votare (pardon, acquistare) il meno peggio, al quale riconoscono una vaghissima corrispondenza di vedute con le proprie, e per il resto l’obbedienza a un mandato che non è quello dei lettori. Chi lavora nei giornali (specie gli under cinquanta) avverte con chiarezza questa disaffezione, e ne soffre, non di rado ne capisce le ragioni; lì sono brutti quarti d’ora tra la scrivania e il distributore del caffè, perché si arriva a temere di stare sprecando gli anni migliori della vita. I più cinici si consolano pensando di essere comunque al servizio di un potere forte.

In effetti certi quotidiani un potere vero riescono ancora a esercitarlo. Possono contribuire a far cadere governi, rovinare o promuovere carriere, dare notizie in anteprima, sollevare temi che saranno discussi a livello nazionale, agitare l’opinione pubblica, intervistare politici e persone famose. Solo, c’è la sensazione che lo facciano a tutela crescente del loro decrescente potere. Non pochi lettori se ne accorgono, e li leggono come guarderebbero in tv una rissa tra sottosegretari o una puntata di Amici: lo spettacolo è involuto, ma su quel palcoscenico si decide qualcosa di importante, perlomeno nell’Italia del discorso ufficiale.

Se il contesto è questo, è comprensibile che l’esperimento di Piero Ottone, il direttore del Corriere della Sera che nel 1973 chiamò Pier Paolo Pasolini a scrivere articoli che remavano contro la linea editoriale del giornale, oggi sia fantascienza. Eppure offrire a un intellettuale (a un artista, a un comico, a un eretico di genio) il ruolo di “ospite ingrato” è sempre un esercizio di vitalità, rende le pagine che lo accolgono più interessanti e meno prevedibili, solleva dibattiti non strumentali, è probabile che paghi perfino in termini di vendite.


Invece, i giornali sembrano oggi dei vecchi ministeri paralizzati dal loro stesso intreccio di poteri, sanno in che direzione sarebbe l’uscita dall’obsolescenza ma gli è impossibile imboccarla. Tuttavia, poiché il ruolo esercitato dai mezzi d’informazione istituzionali non ha ancora alternative di peso, questo tipo di giornalismo è al tempo stesso brutto e necessario, moribondo e condannato a non poter crollare.

Si capisce, in spazi simili, quale ruolo possa avere la satira. Non solo la satira tout court, ma un qualunque esercizio di intelligenza in forma disegnata o scritta che (usando le armi della creatività, dell’invenzione, del paradosso) sia disposta a muoversi sopra le righe per urticare a fin di bene. Per questo le parole di Mannelli, quella sera, sono state ciò che di più onesto si poteva dire. Con una differenza, però, tra destra e sinistra.

Sui giornali anche latamente di sinistra – o comunque non di destra dichiarata – si ha sempre l’impressione che ai collaboratori più anticonformisti si chieda di lavorare al 20 per cento del proprio talento. La dittatura del politicamente corretto come veste rispettabile per il cinismo. Angoli smussati, e alzate d’ingegno piegate alle esigenze del giornale (cioè al suo potere, alle battaglie politiche o ideologiche del momento).

Il risultato è la riduzione alla normalità di talenti che, in cambio di una visibilità anche legittimamente desiderata, finiscono stritolati nella macchina. Fai per scrivere o disegnare una cosa. Ti fanno intendere che non è il caso, o il narcisismo intuisce in quel contesto scorciatoie più vantaggiose. Così ne scrivi o ne disegni un’altra quasi identica, ed è la fila di quei quasi a fare massa nel tempo.

A un certo punto il “quasi” diventa qualcosa a cui finisci per credere davvero, credi di essere tu e infatti lo sei diventato: il tribuno dell’ovvio. Quante penne (e pennarelli) abbiamo visto spegnersi così? Certo, qualcuno ogni tanto è così saggio, talentuoso e consapevole da salvarsi, ma gli Altan si contano sulla punta delle dita.

Se a sinistra i talenti sopra le righe sono a volte imbottiti di bromuro, a destra rischiano di diventare pura violenza, cioè zero talento. Le conseguenze della sconcertante – e devo dire, perfino comica – invidia penis di cui parlavo prima.

Quando si tratta di cultura, è incredibile la venerazione che i giornali di destra hanno per i guru della sinistra. Ricordo un attacco di Luigi Mascheroni a Giulio Einaudi talmente circostanziato e ricco di particolari da sfiorare l’idolatria. Fateci caso, nelle pagine culturali di tanti giornali di destra il nome “Umberto Eco” ha ogni anno più occorrenze di “William Shakespeare”, il nome “Roberto Benigni” più di “Charlie Chaplin”, il nome “Nanni Moretti” più di “Stanley Kubrick”.

Una sofferenza senza balsami

Ovviamente questi nomi sono evocati solo per essere denigrati, e altrettanto ovviamente sono ingiuriati con una ricorsività che ricorda l’ossessione di certe innamorate tradite senza il ricordo di una notte di passione a fare da balsamo. Il problema è che nonostante le risorse, gli spazi, i grandi sforzi, la cultura di destra non è riuscita in trent’anni a far nascere un regista, uno scrittore, un comico, un vignettista, un cantante, un gruppo musicale che andasse oltre la soglia del dilettantismo.

Ad avere lettori, spettatori, ascoltatori, a godere del successo, a essere acclamati oltreconfine – dove lo scontro politico nostrano desta poco interesse, e quindi nessun alibi – sono sempre gli altri. Riconoscere talento agli avversari che ci si è scelti e niente per se stessi senza poterlo confessare genera sofferenza. La migliore via di fuga per non scontrarsi con un certo tipo di dolore è diventare violenti. Se non è questo, è la vecchia esigenza di costruirsi un nemico rispetto a cui essere parassitari: se non c’è lui, non esisti più nemmeno tu.

Il talento rischia sempre più spesso di essere reso innocuo o autoreferenziale

Ecco allora che una parte della cultura di destra sembrerebbe avere a che fare con la satira. È urticante, come certa satira. Irriverente, come la cultura di sinistra non è più. In certi casi perfino inaccettabile, come Il Male nel 1977. Solo: anziché colpire un potere che detesta, soffre un tremendo complesso di inferiorità verso l’oggetto dei suoi attacchi, al quale oggetto il talento ha fatto guadagnare potere e un po’ di soldi, potere e soldi che magari sono conservati ricorrendo a qualche compromesso.

Chi attacca a testa bassa dichiara di attaccare il potere o il compromesso, ma è il talento che soffre. È quello che non lo fa dormire. Vorrebbe essere al posto del denigrato (non nel posto di potere ma nel corpo del talento, perché una certa nobiltà nella miseria bisogna riconoscerla), e usa ridicolmente l’ideologia (i comunisti! i comunisti con la barca!) come foglia di fico. In alternativa, odia se stesso e attacca nel denigrato il proprio essere parassitario.

Il talento, però, nei contesti che lo intercettano, abbiamo detto che rischia sempre più spesso di essere spinto nelle secche dell’accettabilità. Reso innocuo o autoreferenziale. All’improvviso non c’è più un fuori.

È il caso di molti comici in tv. Ma anche di tanti disegnatori, intellettuali, registi che usano le armi dell’umorismo per dar forma alle proprie urgenze. Mi spiace prendermela con Crozza perché è davvero bravissimo a fare ciò che fa. Tempi, testi, interpretazione. Nel suo campo è probabilmente il migliore. Il successo è meritato, il talento invidiabile. Glielo riconosco. Immagino il lavoro che dev’esserci dietro. Magari in Italia tutti quelli che si dicono professionisti di qualcosa lavorassero a quel modo!

Ma proprio perché Crozza è il simbolo di un certo tipo di linguaggio, il campione del genere e un caposcuola, credo di poter usare il suo caso come pietra miliare per un discorso più vasto.

Il problema dell’umorismo di Crozza è di essere nichilista. Quando guardo i suoi sketch in tv mi convinco che il mondo, fosse davvero ridotto a quei codici linguistici, non avrebbe speranza di cambiare neanche aspettando dieci secoli. È la rappresentazione di un mondo eterno. Un mondo che promette anche a noi: “Non morirete mai”.

In compenso, resteremo imprigionati in un eterno presente popolato da maschere di vip che distorcono, fino all’esasperazione – in modo arguto, paradossale, intelligente – l’unico linguaggio contemplabile: quello dei mezzi di comunicazione. Non esiste insomma un fuori, nella narrazione di Crozza.

Le particelle elementari del discorso sono quelle dell’universo mediatico. Si tratta ancora del discorso ufficiale, smontato e riassemblato in modo da rendersi ridicolo, ma sempre dei vestiti vecchi dell’imperatore si tratta, un ologramma separato dal mondo vero quanto lo è uno spettacolo televisivo (o una pagina di cronaca, l’editoriale di un grosso quotidiano) dalle vite profonde delle persone che lo guardano.

Queste vite così scabre, strane, assurde, scandalose, sporche, imprevedibili… Le vite reali, quelle da cui nascono le grandi maschere della comicità.

Perfino il re, quando non porta la corona, fosse anche di notte, mentre sogna addormentato, parla una lingua che non è quella del re

L’umorismo perpetrato usando i codici dei mass media è davvero – come dice Mannelli – un altro campionato. Se dici al re che è un cretino usando lo stesso linguaggio con cui il sovrano si autorappresenta, stai in fondo affermando che quella messa in scena è l’unica possibile. La testa del re magari un giorno rotolerà, ma non si può uscire linguisticamente vivi dal reame. Laddove, al contrario, prigionieri del reame nello status di cittadini, da nudi esseri umani parliamo sempre un’altra lingua.

L’impunità senza fascino

Il problema di Crozza è di essere in definitiva un umorista postmoderno di sinistra e non un comico. Lo stesso vale per gli umoristi che – nei film, nei libri, nei fumetti, nelle canzoni – mettono in scena tic e ridicolaggini dei potenti o della gente comune usando la lingua della “comunicazione”, vale a dire il codice monodimensionale che persuade il potente di essere migliore rispetto a chi il potere non ce l’ha, persuade il re – ossia la nostra parte morta, come fredda e rigida, per quanto necessaria, è la mano che comanda – di essere immortale. Eppure perfino il re, quando non porta la corona, fosse anche di notte, mentre sogna addormentato, parla una lingua che non è quella del re.

Come dicevo, credo sia scatenata dal comico, non dall’umorismo, la risata in grado di salvarci.

Che cosa dovrebbe allora ipoteticamente fare Crozza o chi per lui (davvero, niente di personale), per entrare eventualmente nella sfera del comico? Dovrebbe rileggersi tutti i numeri del Male? Dovrebbe andare a lezione da Daniele Luttazzi? Dovrebbe sputare, ingiuriare, bestemmiare? Dovrebbe dire e fare cose finalmente inaccettabili?

No, credo di no. Non nei primi anni del ventunesimo secolo. Ed è questo il problema. Da vecchio fan di un certo tipo di satira mi costa dirlo, ma non credo che ripetere le imprese estreme di Pino Zac e soci sia oggi la strada da percorrere.

Anche perché quel tipo di violenza, di irriverenza, di spietatezza – sia pure con dinamiche e meccanismi emotivi molto diversi – si è trasferito altrove. Vale a dire in rete. Se volete vedere il presidente del consiglio insultato pubblicamente, o il papa vilipeso con la totale assenza di tabù che per i redattori del Male era ogni volta una sfida e uno sforzo creativo (infrangiamo il tabù? Fino a che punto? E in che modo, questa volta?) fatevi un giro online, specie tra i social media.

Che spazio resta dunque oggi in Italia per l’esercizio sacrosanto del sentimento del contrario?

Ci troverete contenuti e segnalazioni interessanti, ma anche lo sfogatoio che tutti stiamo imparando a conoscere. Una violenza che, se da una parte illude di vendicare i misfatti, dall’altra getta la spugna su ciò che ha fatto passare alla storia Il Male e Frigidaire: vale a dire il talento (senza un filtro editoriale non si seleziona Andrea Pazienza tra mille imbrattafogli), il lavoro (fondare una rivista satirica significava saperla immaginare nonché saper trovare soldi e bravi collaboratori, un tipo di ingegno la cui ricaduta creativa esplodeva sulla pagina) ed essere disposti a pagare per la propria irriverenza (gli autori di satira temprati dal rischio del mestiere avevano un fascino che la quasi totale impunità garantita dalla rete fa scomparire all’istante).

Facebook e Twitter sarebbero diventati il regno della satira 2.0. In qualche caso, c’è del talento autentico. La merce più spacciata è tuttavia un sarcasmo a basso costo che dice tutto di chi la satira la esercita e niente dei suoi bersagli.

Quel tutto è una miscela letale ottenuta con il peggio delle culture politiche che dominano il discorso ufficiale italiano degli ultimi anni. Il conformismo bacchettone di un certo Pd, unito alla violenza della macchina del fango brevettata dal Popolo della libertà, unito al giustizialismo cieco del peggior Movimento cinque stelle, unito al razzismo (se non verso un gruppo etnico, verso una categoria sociale) della Lega, unito all’assurdo sentimento di superiorità etica della sinistra radicale.

Il risultato è sconcertante: un benpensante isterico armato di napalm che desidera notorietà, consenso (se non affetto!) per le stragi virtuali che riesce a compiere convinto di uccidere per una buona causa. Il risultato è sofferenza e frustrazione con sottofondo di risatine da iena del pubblico non pagante, che tutto insieme non sposta di mezza virgola gli equilibri del contesto in cui si svolge la corrida, figuriamoci quelli del mondo reale.

Infine, pensateci: anche l’alfabeto dei troll e dei lapidatori telematici (il nostro codice emotivo quando facciamo emergere il mister Hyde o l’incredibile Hulk 2.0 che ci portiamo dentro) appartiene al discorso ufficiale di cui scrivevo prima. Non si esce dalla macchina, se non se ne vuole uscire.

Che spazio resta dunque oggi in Italia per l’esercizio sacrosanto del sentimento del contrario? Se l’accettabile è castrante e l’inaccettabile stupidamente distruttivo, dove possiamo ricominciare a ridere davvero?

L’ho già detto: nella comicità. In qualcosa, vale a dire, che viene sempre da fuori.

Io so a memoria la miseria, e la miseria è il copione della vera comicità. Non si può far ridere, se non si conoscono bene il dolore, la fame, il freddo, l’amore senza speranza… e la vergogna dei pantaloni sfondati, il desiderio di un caffelatte, la prepotenza esosa degli impresari, la cattiveria del pubblico senza educazione. Insomma non si può essere un vero attore comico senza aver fatto la guerra con la vita.
La dichiarazione di poetica, peraltro molto nota, appartiene a Totò.

E Roberto Benigni, sempre su Totò, nel corso di un’intervista rilasciata a Paolo Bonolis nel 2006, rende il concetto ancora più chiaro:

Il comico, a differenza del tragico, è crudele, perché il tragico ci mostra la grandezza dell’uomo, mentre il comico ci mostra le piccolezze, la miseria, proprio che siamo esseri sciocchi, vulnerabili e ridicoli. I veri comici sono rarissimi. Ci sono tanti attori brillanti, ma i comici come Charlie Chaplin, Keaton, Stanlio e Ollio o Eduardo nella sua grandezza da presepe, veramente rarissimi. Totò nasce dalla miseria (…). Il vero comico è quello che va nelle frontiere sconosciute, che va nelle zone a rischio, dove nessuno ha mai osato e lui era uno che osava dappertutto. La grandezza di Totò è che dietro aveva la morte. Totò era uno scheletro. Nei primi film come Totò le Mokò, bastava che si scansasse un attimo e dietro di lui c’erano cinquanta morti di fame di Napoli, tutti gli scheletri dei morti di fame del mondo. Per quello era inquietante, perché le cose che ti divertono non sono solo quelle che ti fanno ridere, ma quelle che ti abitano, che ti restano dentro, che ti smuovono una parte e ti fanno capire chi sei (…). Totò era così: la grandezza della morte nella risata.

L’ho fatto dire a loro perché non avrei saputo scriverlo meglio.

Il comico ha dunque a che fare con il grande rimosso del discorso ufficiale. Può capitare che salga sui palcoscenici, che riempia qualche colonna di quotidiano, che compaia sugli schermi televisivi, ma viene da territori che con quei codici hanno poco a che fare. Non nasce e muore nel discorso del re. Al massimo, non invitato, in quel discorso ci irrompe.

La sua è una presenza clandestina, perturbante. Il comico non sfida il potere con la lingua del potere. Usa talmente un’altra lingua che il potere, davanti a lui, non sa mai bene cosa fare. Si confonde. Si smarrisce. Per uno strano sortilegio, non gli è dato di toccarlo. Poi ognuno torna sulla propria strada, ma l’uomo che si è fatto toccare dal comico è salvo.

Totò. Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Il Roberto Benigni di Berlinguer ti voglio bene. Carmelo Bene con la finta barba da prete in Nostra signora dei turchi. Paolo Villaggio con la maschera di Fantozzi.Cinico tv e Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco. I migliori spettacoli di Antonio Rezza…

Una montagna umana

Gli esempi non sono pochi. E se chi cerca una risata salvifica si guardasse intorno, se sollevasse gli occhi dal giornale che sta leggendo, o dallo schermo in cui aspira a entrare da protagonista, scoprirebbe nel 2015 un’Italia completamente altra.

La scopriremmo noi, che pure ce l’abbiamo a pochi metri. Per le strade delle nostre città, nelle stazioni quando scende la sera, dentro i locali notturni, tra i banchi dei mercati, sulle spiagge, ai semafori, nei luoghi di lavoro, negli ospedali all’alba, negli istituti psichiatrici, nelle prigioni dopo la fine dell’ora d’aria, nelle cucine degli alberghi, nelle piccole portinerie dei grandi condomini, sui treni, nella polvere dei cantieri, sulle giostrine dei parchi pubblici, nelle sale bingo e nelle sale scommesse, nei circoli per anziani, nei bagni delle stazioni di servizio, nelle scuole elementari, ai piedi dei grandi monumenti, nella realtà e perfino nella noia degli studi televisivi impegnati a confezionare un prodotto irreale… Là fuori si ride a crepapelle. Belluno, Sora, Cattolica, Triggiano. L’Italia è assai più vasta di quanto la nostra stupida filosofia sospetti.

Ci sono giacimenti che chi non ha occhi per vedere non mette a fuoco. Una montagna umana continua a emergere dal ventre della terra: basterebbe sentire il tintinnio delle tazzine da caffè in fondo a un bar della provincia avellinese o trevigiana per sapere che è appena cresciuta di un altro mezzo metro.

Ma la montagna è alle spalle. Non cercatela sui giornali, perché non la troverete. Allora basta voltarsi. Eccoli gli uomini! I cari scheletri danzanti. Ecco dov’erano finiti… Ci sono facce, nel 2015, di cui chi nasce e muore nel discorso ufficiale non sospetta l’esistenza, scambi di battute da morir dal ridere (morir dal ridere) che non solo non trovate voi perdendo tempo su internet, ma non trovano intere squadre di autori pagati per farlo, barricati da giorni nell’ufficio messo a disposizione dalla produzione per spremersi dalle meningi uno straccio di script a beneficio del comico televisivo con cui lavorano.

Mentre qui dentro tutto congiura per farci credere che la morte non esiste, fuori si lotta comicamente per la vita tutto il tempo. Ed è là fuori, nel selvaggio dolore di essere uomini, che bisogna tornare se oltre che a ridere si vuole ricominciare a vivere.



Zac–I fiori del Male, il trailer del film documentario di Massimo Denaro dedicato alla figura di Pino Zac e all’avventura del Male.
-
La redazione di Il Male, a Roma, il 15 agosto 1978.
Da sinistra: Mario Canale, Jiga Melik, Sparagna, Piero Lo Sardo, Angelo Pasquini.
Sotto, da sinistra: Marcello Borsetti, Francesco Cascioli, e il cane Vaniglia di Melik.
 (Mimmo Frassineti, Agf)

Enzo Sferra, Marione e il direttore Vincino nella redazione del Male, Roma, il 15 agosto 1978. (Mimmo Frassineti, Agf)
----

La storia baggiana del Male e della satira degli anni '70, e quella vera

$
0
0
Jiga Melik ha letto l'articolo  “Cosa resta della satira in Italia” di Nicola Lagioia 
e così ha commentato:


La storia baggiana del Male e della satira degli anni '70, e quella vera


Mi spiace, e moltissimo. Le analisi e i racconti che continuano a circolare sulla satira italiana, sto parlando del Male del 1978, sono sempre svuotate di realtà dalla scarsissima, e purtroppo inesistente, deviata informazione storica sulla vera cronaca, sui giorni reali della satira italiana degli anni Settanta, del Male appunto, che continua a essere raccontata sì, però continua a non essere ricostruita, avallando una cronaca caricaturale, anzi fittizia, dei fatti. Invece dei fatti, un siparietto. Baggianate. L'errore abnorme, principale quando si parla della satira di quel periodo è la enorme sopravvalutazione del ruolo dei disegnatori e dei vignettisti nella messa in scena per l'appunto della satira di quegli anni. Quella che viene raccontata è una storia acefala, addomesticata, chissà perché fumettistica, basata su miti editoriali che sono pregiudiziali e pregiudizievoli, cibo addomesticato, precotto - questo per una non disinteressata complicità di alcuni e perché il giornalismo ha bisogno di miti gastronomici, da ingoiare rapidi, fast food.
Il Male dei falsi, quello divenuto famoso, non nasce affatto (se non per un occasionale, e certo anche meritevole, motivo fondativo), da Pino Zac che ebbe l'onere e l'iniziativa di voler fare un nuovo giornale di satira, o per impulso di un gruppo di ottime matite. Il grande Male nasce in seguito, nei mesi successivi, dal lavoro sulla scrittura e sulla cultura delle avanguardie satiriche e letterarie del '77, la teoria del falso, che andavano da Radio Alice a Zut, all'Avventurista di Vincino, nasce dal lavoro di un grandissimo collettivo di disegnatori e di quattro scrittori solitari circondati da un numero straripante di disegnatori. È in quella redazione, così composta, che lavorano insieme, a tratti felicemente, e spesso si scontrano anche, due diverse impostazioni editoriali che finiscono col diventare un "potere", quello del disegno satirico, contro un "Desiderio" - quello degli scrittori di mettere in scena una sorta di teatro delle mostruosità dell'esistenza, di svelare l'arcano e manicomiale delirio umano: la fregola del potere, della sessualità, del furto, della bugia, in un ottica e in una leggerezza da "umorismo liceale", alla Jarry. Quel Desiderio, che io identifico nel gruppo degli scrittori composto da Angelo Pasquini, Piero Lo Sardo, Mario Canale e Jiga Melik, veniva regolarmente accusato di una scalata al potere editoriale e respinto, rappresentato come se fosse una forza corporativa - quella appunto degli scrittori e delle loro idee "teatrali", che andavano dal falso allo happening, e a un certo punto anche al lavoro congiunto col teatro off e ciò che ne derivava in quegli anni, nella fattispecie con Donato Sannini, Roberto Benigni e Carlo Monni. Cose che non si sanno, e che sono state in una certa misura sotterrate.
Dunque è davvero incredibile l'equivoco culturale del dibattito, dibattito tra dozzine di virgolette, che si trascina da anni, periodicamente, come l'influenza di stagione, dove a parlare del Male ci sono solo disegnatori e vignettisti, solo perché la satira in Italia ha finito per condensarsi nelle figure dei vignettisti e disegnatori (Vauro, Mannelli, Vincino) e del loro lavoro sulle prime pagine dei giornali, e che è ciò che di giornalisticamente commestibile e ammissibile rimane della satira di quel periodo - posto che il disegno satirico, per quanto dissacrante sia, si pone proprio come segno, derivando dal disegno, dunque da un'entità lieve, graffiante ma poi fisiologicamente tra virgolette in quanto disegno, satira compatibile ma di fatto estranea al corpo vero e proprio di un quotidiano. Satira ospitata come un profugo. Satira tollerata in quanto monca, priva dell'interezza del proprio corpo - il Male, o un vero, rinnovato media satirico. Ma tornando alla satira di quegli anni, il corpo satirico, l'intero corpo del Male, comprendeva assai di più e diverso di quello che oggi è rimasto, e quanto appunto quel settimanale comprendeva davvero, la sua interezza, la sua ricchezza sono sistematicamente tralasciate. Non avrebbe così importanza - ci sono tante cose nelle nostre giornate e non sono affatto cose satiriche - se ogni tanto non si pretendesse di ricostruire storicamente proprio gli anni del Male, e di farlo omettendo il contributo fondamentale degli scrittori all'impresa satirica del Male stesso. E mentre la storia di solito si ricostruisce con l'insieme dei testimoni, qui invece accade come se per decenni uno storico ricostruisse la battaglia di Waterloo intervistando solamente alcuni ufficiali perché gli altri graduati hanno lasciato la carriera militare - è vero, gli scrittori satirici del Male sono usciti da quella scena, hanno fatto altro, Piero Lo Sardo poi purtroppo ci ha lasciato, ma ritengo inutile, ridicolo, a dir poco riduttivo voler parlare di quegli anni, pretendere di farlo, se poi a fare il dibattito ci sono sempre i soliti, e quasi tutti costoro parlano di sè, dimenticano, sono auto-educati a dimenticare. si tratta di un pugno di amici, vignettisti, bravissimi vignettisti, a volte straordinari, ma non sono affatto gli autori e i protagonisti esclusivi di quella temperie e di quel teatro, anzi. Gli unici rilievi giusti sulla satira italiana sono quelli che da anni sento fare dallo straordinario e onestissimo, nitido, solitario artista che è Riccardo Mannelli, che partecipò ai primissimi numeri del Male, con Vauro, e poi però se ne andò. Ma il vero Male, sia chiaro, fu quello successivo, senza Zac, senza Mannelli, senza Vauro, il Male dai falsi in poi, detto per sommi capi. Quello degli happening, delle invenzioni dei movimenti culturali anticatatonici, del Socialista Partito Aristocratico, delle collaborazioni col teatro off, Beat 72, eccetera, con il contrappunto delle vignette e dei disegni di Perini, Vincino, Sergio Angese, che nessuno ricorda mai, grande Sergio, e Andrea Pazienza, Scozzari, Liberatore che il Male ebbe il merito di produrre nel mensile Frigidaire, diretto da Sparagna.
È tanto, tantissimo, quello che non sapete. Continuate così.

*******************************************************************







Jiga Melikè l'alter ego intermittente dello scrittore Alessandro Schwed. Il signor Melik nasce nel 1978 nella prima e provvisoria redazione del Male, un ex odoroso caseificio in via dei Magazzini Generali a Roma. Essendo un falso sembiante di Alessandro Schwed, Jiga Melik si specializza con grande naturalezza nella produzione di falsi e scritti di fatti verosimili. A ciò vanno aggiunti happening con Donato Sannini, come la consegna dei 16 Comandamenti sul Monte dei Cocci; la fondazione dell'Spa, Socialista partito aristocratico o Società per azioni, e la formidabile trombatura dello Spa, felicemente non ammesso alle regionali Lazio 1981; alcuni spettacoli nel teatro Off romano, tra cui "Chi ha paura di Jiga Melik?", con Donato Sannini e "Cinque piccoli musical" con le musiche di Arturo Annecchino; la partecipazione autoriale a programmi radio e Tv, tra cui la serie satirica "Teste di Gomma" a Tmc. Dopo vari anni di collaborazione coi Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, Jiga Melik finalmente torna a casa, al Male di Vauro e Vincino. Il signor Schwed non si ritiene in alcun modo responsabile delle particolari iniziative del signor Melik.
 Alessandro Schwed ha scritto e scrive romanzi, dal 2008 con Mondadori e collabora
con vari giornali scrivendo articoli di costume e cultura: i Quotidiani Locali del Gruppo Espresso, il Foglio, il Secolo XIX di Genova e ora l'Unità dove parla della realtà televisiva.
Alcuni titoli dei suoi romanzi: Lo zio Coso, La scomparsa di Israele, Mio figlio mi ha aggiunto su FacebooK, La via del Pavone: Alla disperata rincorsa di un pennuto a Roma



La redazione di Il Male, a Roma, il 15 agosto 1978.
Da sinistra: Mario Canale, Jiga Melik, Sparagna, Piero Lo Sardo, Angelo Pasquini.
Sotto, da sinistra: Marcello Borsetti, Francesco Cascioli, e il cane Vaniglia di Melik.
 (Mimmo Frassineti, Agf)
Roma, 15/08/1978, Redazione de Il Male. Angelo Pasquini, Jiga Melik, Vincenzo Sparagna, Mario Canale, Piero Losardo, Francesco Cascioli, Marcello Borsetti, il cane Vaniglia.

Nelle foto, mescolati ad altri ci sono i fondatori della banda dei 4 scrittori : Pasquini ( marlowe ) Schweed ( Jiga Melik ) Lo Sardo ( Zut ) Canale ( prof Canaglio ) perché sul Male non si firmavano mai con il vero nome.

Vatileaks 2015

$
0
0

Corvi viaggiatori
Bochicchio



IL CORVO SANTO
Scoperti gli autori delle spifferate sugli imbrogli vaticani. Saranno processati per il furto e la diffusione di atti segreti sulle attività della Curia romana. Ora però il vero problema è: hanno venduto frottole oppure no.
Uber

Bianco

Tullio Boi



Vatileaks per corvi e volpi, il resto è per l’uomo

di Nadia Redoglia
Se quelli son corvi, i due giornalisti scrittori alla Dan Brown (almeno quanto a pubblicità)  sarebbero volpi?  Tanto per richiamare le favole di Esopo, Fedro e de la Fontaine, ché altrimenti non si spiegherebbe da dove arrivi ‘sto conclamato bisogno morboso d’identificare gli umani in ogni specie animale (colombe, falchi, gufi, corvi, serpenti, gattopardi, leopardi e felini in genere, talpe, canguri, lupi  e via così andare)…tranne che nell’uomo. Consideriamo l’uomo troppo eccelso per accettare certi suoi comportamenti e dunque risolviamo il tutto definendo animale (ritenuto) inferiore chi non è ad altezza umana oppure, data la conclamata bassezza umana, ipocritamente ci mascheriamo parafrasando inferiori (invece nobilissimi) fratelli di specie?

Papa Bergoglio (che parla di demonio, non già d’animali esseri!) al momento fornisce buoni elementi per comprendere qualcosa. L’assumere il nome del poverello d’Assisi così amorevole fratello di tutti gli animali  terreni fa ben sperare quanto a rivelazione d’ autentica natura tra  “altezza” e “bassezza”.

Vatileaks ovvero fuga di notizie dal Vaticano. Già successe tre anni fa e subito dopo il papa Benedetto (sedicesimo) si dimise. Il papa Francesco I è arrivato per tentare di districare (che non vuole dire risolvere!) il marcio inanellato fin dalla dipartita di papa Pietro (primo e ultimo).

Ricordate la sera in cui fu eletto e si affacciò al balcone? Ci augurò “buonasera” e immediatamente dopo si qualificò come il “vescovo di Roma” ben prima che papa…

La Chiesa cattolica è la Chiesa cristiana che riconosce il primato di autorità proprio al vescovo di  Roma  perché successore di quel Pietro (primo e ultimo).
Chi ha orecchie per intendere, intenda…

4 novembre 2015


Moise
Trovate il MoisEditoriale di oggi anche su afNews QUA:
http://www.afnews.info/wordpress/2015/11/05/corvi-serpenti/

Fabio Magnasciutti

La Micela

Ultimo viene il Corvo
MASSIMO GRAMELLINI
Una delle ossessioni ingigantite dai social consiste nel privilegiare il retroscena alla scena, le modalità con cui si è venuti a conoscenza di un fatto rispetto al fatto vero e proprio. Ogni volta che affiora un’intercettazione non si discute tanto del suo contenuto ma della sua liceità e del chi l’ha fatta uscire e perché. Lo stesso meccanismo si applica alle gole profonde del Vaticano, i famosi Corvi. Dei primi due scandali che squassarono il Cupolone è rimasto nella memoria il maggiordomo del Papa che passò le carte alla stampa. Non che in quelle carte ci fosse scritto che Giulio Andreotti aveva nella sua disponibilità un conto di sette miliardi di lire presso la banca vaticana.

Lo schema si replica in queste ore. È tutto uno svolazzare di pennuti, un proliferare di allusioni sul monsignore spagnolo offeso col Papa per un mancato scatto di carriera, sulla giovane italo-francese issata senza alcuna ragione apparente ai vertici di un ente della Chiesa, sulle loro feste in terrazza riservate ai potenti. Ma il fumo delle chiacchiere rischia di togliere visibilità all’arrosto, ovvero ai documenti che la strana coppia avrebbe messo in circolo, da cui si scopre che il Vaticano possiede 4 miliardi (in euro) di patrimonio immobiliare soltanto a Roma e che valanghe di denaro raccolte per scopi benefici servono a finanziare la bella vita di qualche cardinalone allergico ai costumi evangelici di papa Francesco. Se ci si può permettere una garbata ingerenza nei confronti di uno Stato confinante che notoriamente non se n’è permesse mai, invece di chiudere in gabbia i corvi, il nuovo corso vaticano farebbe meglio a liberarsi degli sciacalli.


Francesco Basile




Misericordia
Vatileaks 2Papa Francesco
Mauro Biani





Riverso



Mannelli




Darix

... Tra Potere Temporale e Potere Spirituale...
Mario Airaghi

____________________________________________________________

Nota:

SOSTENTAMENTO DEL CLERO
Certo che non fa piacere scoprire che chi dovrebbe destinare il denaro alle opere di carità in realtà lo utilizza per il proprio benessere.
Capisco quanto Francesco possa essere amareggiato per la fuga di notizie ma ritengo che tutto sommato questo non possa che favorire la sua voglia di pulizia.
Potrebbe approfittare ad esempio chiedendo allo Stato Italiano che l'8 per mille venga trasformato da un "di cui" delle imposte dovute ad una aliquota aggiuntiva e volontaria.
Un grosso pericolo di scoprire i tanti finti cattolici odierni ma il piacere di scoprirne tanti nuovi e sinceri in futuro.
Uber

Papa Francesco cita Guareschi e i suoi personaggi Don Camillo e Peppone.

$
0
0
di Pierpaolo Perazzolli


10 novembre 2015
"La Chiesa italiana ha grandi santi il cui esempio può aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d`Assisi a Filippo Neri. Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone".
Così il Papa, al duomo di Santa Maria del Fiore a Firenze, nel convegno decennale della Chiesa italiana, cita i celebri personaggi dei romanzi di Guareschi in un passaggio dedicato alla tentazione, da sconfiggere, dello "gnosticismo".
 "Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente".
E Bergoglio continua: "Di sé don Camillo diceva: `Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro`"."Vicinanza alla gente e preghiera - continua il pontefice - sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte".
- See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Il-papa-cita-Don-Camillo-e-Peppone-di-Guareschi-Stare-accanto-alla-gente-d795b178-42c9-41d9-9d24-a6a062160899.html

«Via crucis».
La vignetta di #Giannelli su http://www.corriere.it
Viewing all 1770 articles
Browse latest View live